Quanto risultano oppressivi gli standard di mascolinità e virilità forzata per gli stessi corpi maschili, che quotidianamente sono chiamati ad adeguarsi ad essi? A metterne in evidenza le ripercussioni sociali e personali è Guyoverboard, Riccardo Onorato, che ha deciso di raccontare il diritto ad essere di una mascolinità decisamente non stereotipata e non costretta nei canoni della forza e della virilità. Di dare spazio al bisogno di «costruire la propria identità di uomo senza che questa passi attraverso parametri fissi che ne determinino la validità».
La narrazione della mascolinità non stereotipata si allontana molto dalla mascolinità tossica, dal machismo a tutti i costi. Quali sono le differenze fondamentali tra le due e perché è importante creare uno spazio per raccontare anche i corpi maschili fuori dalle imposizioni del patriarcato.
Il patriarcato è la più grande malattia sociale che assale corpo e spirito delle donne e di molte minoranze, ma che alla fine ingabbia anche corpo e spirito degli uomini. Tanti uomini non usano questa parola perché la associano alla liberazione femminile e quindi trovano sia irrilevante per la loro esperienza. In realtà è proprio questa sfaccettatura del sistema politico-sociale che modella l’identità maschile, il senso di sé e il nostro corpo, portandocelo dietro fino alla morte.
È questo sistema – anche se non ne usiamo il nome – a crescerci, perché fin dalla nascita ci vengono insegnati i ruoli di genere e le caratteristiche fisiche patriarcali. Veniamo continuamente guidati riguardo ai modi in cui possiamo soddisfare questi ruoli e queste caratteristiche a partire da ogni istituzione che incontriamo, famiglia, scuola, strada, sport, persino la chiesa. Dobbiamo essere superiori in tutto, anche con il corpo, e dobbiamo dimostrare di essere intrinsecamente dominanti attraverso varie forme di violenza e terrorismo, anche con il corpo.
Parlare quindi di una mascolinità che cerchi di allontanarsi da tutto questo vuol dire rompere il silenzio, non promuovere la negazione. Vuol dire sfidare e cambiare quelle regole perché sono tanti gli uomini stanchi di non poter essere quello che sono in piena libertà, celebrandosi nella loro unicità. Vivere in una cultura anti-patriarcale vuol dire quindi non solo dare dignità al femminile, ma anche non dover dimostrare continuamente il nostro valore perché sapremo che il semplice essere darà valore a noi e al nostro corpo e ci darà diritto a considerarci preziosi sia personalmente che fisicamente.
Un rapporto sano con il corpo implica la capacità dell’accettazione e la possibilità autodeterminata del cambiamento. Cosa significa essere orgogliosi del proprio corpo?
Quando il movimento Body Positive ha cominciato a diffondersi, è stato semplice banalizzare le sue istanze credendo che quella “positività” riguardasse solo l’amare se stessi. Si è facilmente creduto che la risoluzione ai problemi che vivevamo tutti e tutte sul nostro corpo fosse un sentimento di rassegnazione più che di consapevolezza. Questa idea, che sembrava così “da deboli”, ha trovato ancora meno campo fertile nella sfera maschile, dove l’idea di forza è la base per essere definiti uomini. E così l’idea di “orgoglio” si è allontanata dagli uomini, quasi a volerne indicare la non-necessità. Eppure, essere orgogliosi del proprio corpo è parte integrante della nostra vita, perché vuol dire tanto essere in grado di apprezzare il nostro corpo per quello che è, quanto cambiarlo, senza che nessuna delle due opzioni derivi da una pressione sociale che diventa tormento. Ma è difficile non lasciarsi condizionare se cambiando il proprio corpo le persone si congratulano come se prima fosse orribile o se dicono di “fregarsene dei giudizi” come se si potesse ignorare di avere un corpo (e dei sentimenti).
Il fatto è che non è vero che o ci accettiamo o cambiamo: le due cose non si escludono. Imparare a rispettarsi infatti può voler dire non solo guardare il proprio corpo con occhi diversi, ma anche imparare a cambiarlo. La vergogna e l’odio invece non saranno mai motivatori di consapevolezza del corpo o del suo cambiamento. Essere orgogliosi del proprio corpo può essere tanto un motore di trasformazione quanto un modo per conoscere e apprezzare ciò che già abbiamo, imparando a liberarsi dalla pressione di dover per forza cambiare o di sentirsi in colpa per quello che si è.
Riappacificazione con lo specchio. Quando e come avviene? È un processo conoscitivo ed esplorativo che parte da dove? Cosa richiede?
Viviamo in un mondo che giudica costantemente i nostri corpi, in particolare se sono diversi dall’essere bianchi, magri, abili, privi di cicatrici e difetti. E questi giudizi sono sostenuti da pratiche istituzionalizzate e credenze culturali che ci mantengono ai margini non per come ci sentiamo rispetto al nostro corpo, ma per come le altre persone trattano il nostro corpo. Per riappacificarci con lo specchio dobbiamo quindi affrontare prima di tutto i sistemi che producono queste disuguaglianze perché questo processo conoscitivo ed esplorativo non riguarda semplicemente il cambiare la nostra mentalità sul nostro corpo. Anzi, così potremmo rischiare di fondere l’immagine che abbiamo del nostro corpo con il body shaming, arrivando a credere che le battute, i giudizi o le offese non riguardano il modo in cui il mondo ci tratta, ma come ognuno di noi li vive individualmente.
Guyoverboard, Riccardo Onorato
Liberare il corpo, soprattutto per le forme fisiche più emarginate, vuol dire invece che tutti i corpi sono degni, uguali e meritevoli di rispetto indipendentemente dalle loro differenze. Quando allontaniamo, anche solo mentalmente, tutti questi corpi, decidendo che sarà l’amore per noi stessi a farci guardare in maniera meno giudicante, non stiamo dando loro libertà. Il fatto che ci vogliamo più bene può essere quindi importante in questo processo, ma dovremmo anche comprendere quanto sia più importante non continuare ad escludere gli altri. Altrimenti staremo solo accettando noi e quelli che ci assomigliano, che è ciò che qualcun altro avrà già fatto nei nostri confronti prima che cominciassimo ad amarci.
Come descriveresti il rapporto con il tuo corpo?
La tendenza che ho avuto nel discutere del mio corpo è stata sempre molto pericolosa. Perché non è che stavo lì a smantellare gli standard di bellezza, ma anzi ci cascavo in pieno. Parlavo sempre della mia taglia, del peso e dell’accettazione sociale, ponendo poco l’accento sulla mia felicità, su come mi sentissi nel mio corpo o su altro. E queste conversazioni, più che un maggiore rispetto verso di me, giustificavano il diventare oggetto delle opinioni delle altre persone. Nel momento in cui ho cominciato a cambiare questi discorsi, ho iniziato ad avere un rapporto più sereno con il mio corpo. Ed oggi è ancora così. Ci ho messo tempo per capire che ero degno dell’amore verso me stesso, e quando ho cominciato a farlo, ho smesso di mettere i bisogni e i desideri degli altri davanti ai miei. Il che non vuol dire cessare di essere altruisti, ma ho capito quali fossero i confini sani tra la cura di me e la cura degli altri. Oggi dico no più spesso, cerco di non autosabotarmi con cose che mi fanno stare male, difendo le mie convinzioni e so a che punto sono. Rivendico il diritto di definire il significato del mio corpo e di mettere in evidenza valori diversi intorno alla natura del mio corpo così da sovvertire qualsiasi stereotipo e privarlo del suo potere su di me. La mia voce interiore sta diventato più forte ed effettivamente la ascolto, senza essere spaventato del silenzio. Se sono io quello che deve rispondere di sé, ho capito di meritarmi un po’ più di rispetto e comprensione.
Hai mai subito episodi di bullismo, violenza (anche in relazione alla divulgazione e all’attivismo) o discriminazione?
La maggior parte degli episodi spiacevoli che hanno riguardato il mio corpo li considero abbastanza comuni: prese in giro, battute, occhiatacce. E mi ritengo fortunato per questo, perché tanti altri invece sperimentano veri e propri atti di violenza sia fisica che mentale, ma soprattutto episodi di discriminazione nell’ambito lavorativo, sanitario o sociale in generale. Sono cose che ti impediscono letteralmente di vivere. Io invece ho avuto il privilegio di continuare a vivere la mia vita, nonostante comunque quelle parole mi abbiano condizionato sia nel modo in cui vedevo il mio corpo sia nella prospettiva di ciò che potessi fare e vivere a causa del mio corpo.
Da ragazzo a lungo sono andato in spiaggia senza togliermi la maglietta, non ho fatto alcuni sport perché pensavo che il mio corpo non avesse le caratteristiche giuste per farlo, mi sono sentito inadeguato nell’amore e nella sessualità credendo che mai avrei potuto costruire una relazione e mi sono spesso preso in giro da solo usando le stesse battute, giudizi o insulti che mi marginalizzavano. Nonostante il mondo continuasse a ricordarmi di essere sbagliato, che non fossi all’altezza a causa del mio corpo e che avrei dovuto essere diverso per sentirmi degno, alla fine ho capito che non avrei mai potuto amare sempre il mio corpo e non ne sarei stato sempre totalmente consapevole. Così ho imparato a non avere più pregiudizi su di me, permettendo al corpo di vivere tutte le cose che la vita mi offre. Oggi per me è importante darmi la possibilità di vivere le esperienze e lottare affinché tutto questo cambi nella mente di chi insinua il dubbio che quelle cose non mi sia concesso farle.
Quali sono i punti della tua narrazione del corpo maschile e della sessualità che più si discostano dal racconto della virilità forzata?
La mascolinità, così come la conosciamo, è un insieme finito e molto stretto di caratteristiche che gli uomini devono avere per essere definiti tali. Queste caratteristiche sono soprattutto di tipo valoriale: forza, potenza, dominio, virilità intesa come conformità alla procreazione e vengono applicati a vari livelli, compreso il corpo. Questo ha fatto sì che per lungo tempo il corpo maschile venisse considerato tale nella visibilità dei muscoli come dimostrazione di forza, nella presenza della peluria come prova di un “funzionamento ormonale” corretto, nell’altezza come esempio di dominio, soprattutto nei confronti delle donne, e ovviamente nella forma e dimensione degli organi genitali come potenza sessuale.
Guyoverboard, Riccardo Onorato
Nel parlare quindi di corpo maschile cerco di decostruire quest’idea di mascolinità egemone, facendo comprendere che non esiste un’idea unica e fissa di mascolinità, ma che esistono una pluralità di mascolinità grazie alle quali ogni uomo può decidere di essere uomo a modo suo. Questo vuol dire non che sia sbagliato avere un corpo muscoloso o non muscoloso, farsi crescere la barba o decidere di depilarsi, che bisogna negare le proprie forme genitali come prova di modestia. Piuttosto che deve essere libera la scelta nel decidere come il proprio corpo è e nel conoscere tutte quelle caratteristiche fisiche su cui non abbiamo un potere diretto. E da lì costruire la propria identità di uomo senza che questa passi attraverso parametri fissi che ne determinino la validità. Si è uomini anche con corpi particolarmente magri o grassi in cui i muscoli non siano visibili, si è uomini anche se si è naturalmente glabri o senza capelli, si è uomini in quanto bassi o alti, si è uomini a prescindere dai propri organi genitali.
L’esistenza sembra ridursi alla bidimensionalità dell’aspetto fisico e della sessualità. Cosa provi nel cercare di dare voce alle altre dimensioni e ragioni che sembrano essere nascoste dietro queste due?
L’educazione sessuale per molti uomini è qualcosa di piuttosto semplice, arriva dai porno mainstream. Questo è un danno per diverse ragioni, ma soprattutto per le opinioni che gli uomini sviluppano nei propri confronti. La sessualità vista in questo modo infatti è solo una questione di tempistiche, di dimensioni, di utilizzo della forza come dimostrazione di virilità, con il risultato che troppi uomini trovano il proprio corpo inadeguato al sesso. Inoltre, culturalmente è in atto una desessualizzazione di tutti quei corpi che non si uniformano ai codici culturali di desiderabilità. L’essere grassi, vivere con disabilità, essere di razze diverse o uomini queer sono tutte caratteristiche che non rappresentano un’attrazione sessuale perché destabilizzano l’idea di ciò che è desiderabile e se lo diventano vengono viste o come devianze o come feticci.
Dare voce quindi ad altre dimensioni e ragioni può essere una forma di protesta contro tutto questo. Dobbiamo essere onesti rispetto alla nostra sessualità perché altrimenti continueremo a non sentirci a nostro agio. E questo atteggiamento non farà che perpetuare la vergogna nei confronti del nostro corpo e l’odio non solo verso noi stessi, ma anche verso il sesso. Invece ogni persona, indipendentemente dal proprio corpo, è degna di dare e ricevere piacere, se sente che fa parte di sé. Concetti come il consenso, i confini, il non essere sempre performanti, avere momenti hot e momenti dolci devono essere messi al centro della discussione. Bisogna fare ciò che fa sentire bene, assicurandosi di esprimere ciò che si desidera e seguendolo senza vergognarsene.
Ti occupi anche della rappresentazione dei corpi grassi e non conformi nelle serie e nel cinema. Quali sono le caratteristiche dei corpi più alterate rispetto alla realtà?
Il problema della rappresentazione dei corpi grassi nelle piattaforme mediatiche è che continua a basarsi su stereotipi negativi che, da un lato, confermano la visione grassofobica della nostra società e, dall’altro, non vengono trasformarti in una forma di rivendicazione positiva. Il corpo grasso, quando non viene completamente cancellato, è quasi sempre qualcosa di comico e ridicolo. I personaggi grassi sono spesso goffi, maldestri, poco attraenti, a volte anche stupidi, sporchi e facilmente raggirabili. Normalmente il fine della loro presenza non è funzionale alla storia, ma sono solo il bersaglio di facili battute sul corpo che vengono giustificate dal fatto che sono persone ingorde che hanno un rapporto non molto sano con il cibo.
Altre volte invece capita di trovare personaggi grassi pacifici a tutti i costi, taciturni e molto paciocconi, deumanizzati come se fossero pupazzi di peluche. Ora, questo non vuol dire che un personaggio grasso non possa possedere queste caratteristiche. Ma anche quando nella storia una persona con un corpo grasso affronta un percorso di maturazione per allontanarsi da questi stereotipi, alla fine il suo cambiamento interno è legato anche al suo cambiamento fisico. E questo non fa che confermare l’idea che non si possa essere grassi e, contemporaneamente, spigliati, disinvolti, agili, sexy, intelligenti e solidi tanto nella finzione quanto nella vita reale. La rappresentazione dei corpi grassi oggi dovrebbe quindi sovvertire l’idea che si stia parlando di persone di serie B, obbligatoriamente oppresse e bullizzate, mostrando finalmente alle stesse persone grasse che guardano lo schermo personaggi in cui potrebbero identificarsi.
Se potessi rinascere, sceglieresti di rinascere te stesso per raccontare la tua autenticità, magari dandoti la possibilità di seguire un altro percorso, oppure vorresti essere qualcun altro?
Se potessi rinascere sicuramente non vorrei essere magro. Piuttosto preferirei che lo stigma sul grasso scomparisse, così da poter vivere liberamente tutti e tutte nei nostri corpi. Perché la grassofobia colpisce le persone con corpi considerati non conformi quando impedisce loro di vivere la vita nelle cose più semplici, ma colpisce anche quelle dai corpi più standard intimandole di non perdere quello che hanno. Liberamente però non vuol dire solo pensando all’autostima o a un’immagine positiva del proprio corpo. Nonostante questo sia importante a livello personale, se considerassimo solo la relazione con il nostro corpo, ignoreremmo che oggi continuiamo a ritenere certi corpi più belli e degni di vita, cura, spazio, cultura e storia rispetto ad altri. E questo rinforza non solo gli standard di bellezza, ma anche altri standard oppressivi come quelli abilisti, razzisti o transmisogini. Insomma, se potessi rinascere, vorrei solo che il mio valore di persona non dipendesse più da quanto il mio corpo piaccia a me o agli altri.