«Il disturbo ossessivo compulsivo è un disturbo dell’umore a causa del quale si verifica un deficit nella trasmissione della serotonina, quindi è consigliato trattarlo farmacologicamente. Il cervello è sempre in movimento, per questo ci stanchiamo tanto. La cosa fondamentale è la terapia: bisogna rieducare la mente a un pensiero funzionale, diverso da quello ossessivo. Purtroppo per avere una cura di qualità serve una grande disponibilità economica e non è semplice. Io ho portato avanti contemporaneamente due psicoterapie, in più assumo una terapia farmacologica: ho lavorato molto su di me».
Nel mese della salute mentale abbiamo scelto di dedicare uno spazio al disturbo ossessivo compulsivo e per farlo abbiamo contattato Barbara Musu, (@fiore_da_parete), un’attivista che si occupa di advocacy su Instagram raccontando la propria esperienza con il DOC. Il disturbo ossessivo compulsivo, come accade per altri disturbi mentali, viene citato spesso nei discorsi – «sei ordinata, pulisci spesso la casa, certamente soffrirai di disturbo ossessivo compulsivo» – ma in maniera totalmente distorta. Insieme a Barbara ci siamo confrontate sull’importanza e i limiti della divulgazione relativa alla salute mentale, ma soprattutto abbiamo provato a capire meglio la realtà di chi sperimenta un DOC, scontrandosi con lo stigma, l’invisibilità e il desiderio di trovare una voce.
«Il dolore affrontato negli anni non poteva rimanere chiuso nella mia stanza, dovevo portare fuori quello che avevo vissuto per cambiare le cose»
«Un anno fa ho ripreso in mano la mia pagina Instagram e ho iniziato a fare divulgazione sul serio. Prima di allora non mi esponevo, avevo molta paura. Pubblicavo qualche sfogo sporadico ma del tutto anonimo, fino a che mi sono stancata perché ho capito che il disturbo ossessivo compulsivo, di fatto, è sconosciuto ai più e il poco che si sa viene totalmente frainteso. Si pensa che abbia a che vedere con la pulizia, la perfezione, l’ordine, ma spesso non c’entra niente con tutto ciò. Io non mi sono mai ritrovata in questa descrizione, perché il mio disturbo tocca altre sfere e funziona in maniera molto diversa.
Ricordo ancora il momento in cui ho deciso che avrei iniziato a raccontare di me, della mia sofferenza. Tutta Italia era in lockdown, io mi sentivo nel panico e il disturbo era in fase acuta, allora ho pubblicato un post: “Lettera di un ossessivo compulsivo”. Ho scritto che ci sentivamo abbandonati dallo Stato, perché non potevamo fare niente se non sopportare la sofferenza. In quel momento mi sono resa conto che il dolore affrontato negli anni non poteva rimanere chiuso nella mia stanza, dovevo portare fuori quello che avevo vissuto per cambiare le cose.
Sono nata con il disturbo ma non mi è stato diagnosticato fino ai ventun’anni, quindi ho vissuto una vita invalidante seppur inconsapevole che soffrissi di una malattia mentale. Da sempre etichettata come una ragazzina un po’ triste, apatica, strana, in realtà stavo subendo le conseguenze di un disturbo. La mia attività di divulgazione è nata per fare in modo che il DOC venisse conosciuto in Italia, per eliminare gli stereotipi, per evitare di banalizzare il disturbo e per dire alle persone che non sono sole: anche se non se ne parla molto siamo tanti in Italia a soffrirne. A volte si ha paura a dirlo perché sembra una sofferenza meno grande, ma purtroppo è qualcosa di molto doloroso. Dall’esterno il DOC sembra quasi una cosa bella: “sei ordinata”, “sei precisa”, ti dicono, ma questo è un messaggio sbagliatissimo».
«Nelle persone affette da disturbo ossessivo compulsivo le ossessioni rimangono a stagnare e diventano fonte di ansia»
«Il disturbo ossessivo compulsivo si caratterizza per la presenza di pensieri, che si trasformano in ossessioni, e di compulsioni. È come se non riuscissimo a filtrare quei pensieri che chiunque sperimenta almeno una volta nella vita. Il dubbio di poter essere omosessuale, ad esempio, si affaccia nell’esistenza di molte persone, ma spesso come arriva allo stesso modo se ne va. In chi è affetto da DOC, invece, queste ossessioni rimangono a stagnare e diventano fonte di ansia, è lì che nasce l’esigenza di mettere in atto delle compulsioni per alleviarla, ma il risultato è un circolo vizioso molto stancante a livello mentale.
Il disturbo ossessivo compulsivo può diventare altamente invalidante. Le ossessioni sono in grado di causare grande preoccupazione perché possono riguardare la salute, la paura di essere pericolosi, di poter fare del male a qualcuno. Si tratta di un malessere intimo nei confronti di sé stessi, delle proprie credenze. Le compulsioni messe in atto nella vita quotidiana, poi, prendono tempo ed energia: a me è capitato, da studentessa universitaria, di perdere molto tempo a mettere in atto certi rituali.
Ho vissuto il disturbo sia da bambina che da adulta e so per certo che causa una grande sofferenza. Quando viene usato come aggettivo mi sento ferita perché si tratta di una malattia e non va banalizzata. Non siamo stati educati a percepire la malattia mentale allo stesso modo delle altre patologie organiche, purtroppo. Il cervello è un organo e si ammala al pari di tutti gli altri, invece passa sempre il messaggio che la salute psichica dipende dalla forza di volontà dell’individuo. Ultimamente su Instagram vengono pubblicati post con immagini di cervelli trasformati da patologie quali la depressione o il bipolarismo e lì è possibile vedere dei dati oggettivi: la malattia c’è.
Nella vita reale mi sono sentita dire varie volte frasi del tipo: «devi reagire» o «ringrazia che puoi pagarti le cure». Ecco, se si stesse parlando di una patologia fisica direste mai a una persona di ringraziare perché riceve le cure? Se soffrissi di diabete cosa mi direste? Non c’è un altro percorso, non ci si può curare da soli. Io stessa sono vittima del sistema della produttività, perché avendo ricevuto tardi la diagnosi la mia vita è stata rallentata: non ho ancora la patente, ho ritardato gli studi. Ricevo messaggi di persone che non possono permettersi le cure perché non ci sono servizi garantiti e ci si sente soli. È importante dire che con il disturbo ossessivo compulsivo si può avere una buona qualità di vita, ma bisogna fare cultura sul farmaco oltre a fornire un’informazione più complessa».
«La gente scorre tra i post senza badare ai contenuti, è come se i prodotti fossero tutti uguali»
«Mi sono resa conto che anche la divulgazione ha i suoi limiti, per questa ragione sto cercando di reinventare il mio profilo. In occasione della giornata mondiale della salute mentale, ad esempio, insieme ad altre attiviste abbiamo pubblicato un video per testimoniare la realtà del disturbo mentale e abbiamo avuto prova del fatto che ormai Instagram è saturo di storie, testimonianze, racconti. La gente scorre tra i post senza badare ai contenuti, è come se i prodotti fossero tutti uguali ed è un problema, perché la sensibilizzazione non è più efficace. Vorremmo ottenere cambiamenti veri, come uno psicologo di base, ma bisogna capire in che modo mandare avanti la divulgazione affinché sia funzionale. Nonostante tutto la salute mentale sembra ancora un lusso.
Da quando mi occupo di divulgazione, però, la mia vita è cambiata. Raccontarmi mi ha aiutato nel percorso di guarigione, perché anche solo potersi dire: “ti capisco”, “so cosa stai passando” è molto terapeutico. Proprio per questo ho deciso di scrivere una tesi sul legame tra psichiatria e pedagogia dove dimostro quanto il narrarsi sia un fattore molto importante nel processo di guarigione. La mia idea è nata dal fatto che ho conosciuto persone molto belle sulla pagina, ragazze che fanno divulgazione. Ci siamo rese conto di come da un social sia nata una rete di supporto. Quando anni fa cercavo informazioni sul disturbo ossessivo compulsivo su Instagram non trovavo niente, invece ora è possibile accedere a tantissime informazioni».
«Uscire allo scoperto è il primo passo: siamo persone con una malattia»
«È molto importante dare voce agli attivisti, all’advocacy, che in America è già molto conosciuta rispetto all’Italia. Vivendo le cose diventiamo esperti, abbiamo uno sguardo che neanche un professionista può avere, perché è impossibile capire al cento per cento un dolore che non provi. E poi sarebbe bello attirare l’attenzione di chi non conosce il disturbo, perché la salute mentale è ancora un po’ di nicchia. Spero di riuscire a inserire attività pratiche nel mio profilo magari organizzando incontri con persone che hanno voglia di parlare della loro realtà, manifestazioni, mostre. Mi piace fare fotografie e credo sarebbe utile rappresentare il disturbo mentale attraverso le immagini. Mi auguro di poterne parlare nelle scuole, sono un’educatrice e so quanto sia centrale il valore dell’educazione.
Ci ho messo tantissimo a parlare liberamente e a pensare di metterci la faccia, perché vivo in un piccolo paese e l’idea di poter essere riconosciuta come la ragazza che soffre di disturbo ossessivo compulsivo mi provocava paura. Conoscere il dolore degli altri, entrare in contatto con un dolore collettivo forte, mi ha dato la forza di dire chi sono. Mi sono sentita in dovere di metterci la faccia. Vorrei dire che uscire allo scoperto è il primo passo: siamo persone con una malattia. Ringrazio di aver aperto la pagina perché mi ha aiutato ad essere capita meglio da chi mi sta intorno».