«Se è vero che il destino di un uomo è segnato ancora prima di nascere, è anche vero che nel tempo ognuno cambia come vuole. Chi vive nel tormento, chi nella speranza e chi nell’illusione. Io vivo nei miei giorni, nei ricordi di allora, quei ricordi che rimangono impressi nella nostra memoria e che ci permettono di vivere nella gioia, nell’amore, nel dolore. Riconosco dolorosamente che l’oblio è sempre in agguato specie in quelle persone che vivono vertiginosamente di presente e io purtroppo riconosco questo mio torto, quello di aver vissuto sempre solo in un eterno presente.
Era il 19 marzo 1998 quando si chiusero quelle porte alle mie spalle. Sono trascorsi da allora moltissimi anni e, nell’arco di questo lungo tempo, di cose ne sono accadute e io non ero fisicamente presente. Così come non ero presente ogni qualvolta c’è stato bisogno di me.
Questo senso di inutilità, l’essere spettatore di un tempo di vita che non conosce pausa, ha fatto crescere in me quello che altri chiamerebbero forza interiore, ma che io ritengo essere soltanto spirito di sopravvivenza. Nel mondo dei vivi al manifestarsi di ogni evento succede un cambiamento. Io, per ognuno di questi, sono rimasto qui, a guardare, a immaginare, a sognare, ad aspettare il momento in cui la mia parola, un mio gesto, potesse tornare a generare un cambiamento in quel mondo a cui aspiro di poter tornare.
Molte sono state le volte in cui mi è stata chiusa la porta in faccia, oscurando in me la luce della speranza, che purtroppo oggi posso scorgere solamente attraverso lo spiraglio rilasciato tra la porta e il pavimento. Il mio ricordo è una goccia di solitudine, che, giorno dopo giorno, cade a ritmo costante sul mio corpo provocandomi dolore. Un male che con il tempo ho imparato a conoscere e sopportare. Se ancora per molto tempo dovesse essere l’unica compagna, con lei, mia indesiderabile amica, non potrò mai riuscire a convivere. Non riuscirò mai a guardare il mio torturatore con occhi benevoli, piuttosto mi abituerò a non guardare.
Mi osservo allo specchio e non posso fare a meno di notare l’impronta che la solitudine ha lasciato. Da molti anni aspetto quel tempo, detto futuro, che non è ancora arrivato ma che il tempo sia maturo ne sono certo, perché lo sono anch’io. Vorrei poter essere una goccia del mare e non una pioggia d’estate che da un momento all’altro potrebbe evaporare.
Anche se fisicamente sono qui da troppo tempo, la mia mente e il mio cuore non si sono mai mossi: sono rimasti lì, lì dove ho lasciato la mia anima. Non ho peccato e non ho nulla di cui rimproverarmi per questa ingiusta detenzione e, se in questa mia restrizione forzata, mi fosse concesso di poter guardare le stelle senza inferriate questo peso crudele, chiamato ergastolo, che porto dentro si alleggerirebbe a tal punto da non sentirmi più prigioniero, ma libero di poter sognare.
L’illusione dentro le patrie galere è alla base di tutto, è importante non lasciarsi irretire. L’essere solo mi rende incompleto, perché senza i miei effetti non sono io, perché il lato migliore di me stesso si manifesta quando coltivo l’amore e non il dolore. Ma la solitudine è alla base di tutto, è la padrona.
Ancora oggi, a distanza di tanti anni, se ho la forza di andare avanti è solamente per l’amore incommensurabile che provo per la mia famiglia e, anche se la mia etica mi impedisce di farneticare, non potrei mai smettere di fantasticare. Quello che ritengo necessario è il non farmi condizionare dalla realtà che mi circonda. È importante rimanere comunque con i piedi per terra, pur lasciando che la testa passeggi in qualche occasione tra le nuvole.
Fermamente convinto che ogni essere umano, che davvero desidera vivere in armonia con il mondo e con se stesso, debba considerare la cultura come fosse un tesoro inestimabile, un tesoro che mi permette di evadere con la mente da queste inferriate. Sarà bello riuscire a trasformare il tutto in una meravigliosa visione celestiale densa di luce e di tanto amore».
Regina Coeli. Fotografia di Francesco Formica
A scriverlo è Giuseppe Gambacorta, persona detenuta nella Casa Circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso. Da poco laureato in Scienze dell’Editoria, per la sua tesi di laurea ha scelto di lavorare sul tema del ricordo attraverso la fotografia ricostruendo la fisionomia della terra che ha lasciato più di vent’anni fa. Quella terra che, come è successo a lui, il tempo ha modificato, rendendola diversa dall’immagine che preserva nei ricordi.
Abbiamo voluto parlare di ergastolo ostativo, dunque di fine pena mai, dall’interno. Dalle mani di chi è obbligato a toccarlo, ferendosi, ogni giorno. Ci si dimentica che l’ergastolo ostativo abbia un peso esistenziale e invece dovremmo non scordarlo mai. Perché la pena che mortifica è vendetta e non ha alcuna attinenza con la giustizia. Il fine pena mai ha il peso esistenziale di un tempo senza ritmo rispetto al tempo oggettivo, è un tempo di vita che stanca e logora, perché è «un tempo di vita che non conosce pausa».
Vivere da lungo tempo la condizione della reclusione carceraria implica anche la necessità di vivere attraverso i ricordi del passato. È sbagliato pensare che quei ricordi siano una ragione di vita?
Ricordare è vivere. In questo luogo non luogo, i ricordi divengono necessità e bisogna saper lottare con il tempo della vita che trascorre imperterrito per evitare che quelle belle immagini si sbiadiscano negli anni.
Di fronte a una condanna lunga, quale significato assume il tempo?
In una lunga condanna a tempo, cioè con una data certa di fine pena, il tempo è la medicina che guarirà la lunga degenza. Nel mio caso, essendo stato condannato a un fine pena mai, il tempo è un elemento che non ha più rilevanza perché si è fermato il giorno in cui è stata emessa la sentenza nei miei confronti. Però il tempo ancora lo ricordo e spero un giorno di poter tornare a dargli la giusta importanza.
Cosa sono, per te, il passato, il presente e il futuro?
Il passato è la vita. Il presente non esiste. Il futuro spero di poterlo conoscere.
Il ricordo permette di sentirsi meno soli?
Trovo la più dolce compagnia nei miei ricordi del passato. Rappresentano l’insieme di tutte le gioie provate e vissute quando ero ancora giovane.
Come si trova un equilibrio tra il mondo che conservi nei ricordi e il presente che sei costretto a vivere tuo malgrado?
Il presente che vivo giornalmente non ha nulla in comune con i ricordi del mio passato. Trovo conforto solamente nella penna e nei libri che conciliano il mio presente (assente) a un passato ricco di tante gioie mai dimenticate.
Il tempo interiore della persona detenuta in parte è scandito dal ricordo del passato e dall’immaginazione del futuro. Quanto è importante non dimenticare il passato per non smettere di sperare in un futuro diverso dal presente?
La riflessione, la ricerca di te stesso, lo scavare alla ricerca di quell’io sono elementi costanti e sempre presenti durante la detenzione. L’isolamento dal mondo esterno, la solitudine, la sensazione di non utilità sono tre forze contro le quali bisogna lottare senza mai arrendersi e se non fossi cosciente di avere un passato non potrei nemmeno dire di essere vivo.