A Roma* è facile comprendere se puoi permetterti o meno di vivere in una determinata zona, basta uscire dalla metropolitana. Il mezzo di trasporto che più di ogni altro rende tutti e tutte sullo stesso livello sociale, all’improvviso ti ricorda invece quanto tu sia più o meno povero delle altre alici che come te sono appena uscite da quel fiume umano immerso nei vagoni che serpeggiano il livello inferiore del tessuto urbano. Tra Rebibbia e Colosseo non ci sono differenze, infatti, finché sei nel vagone ed in realtà anche nelle zone, o meglio nei non luoghi, che compongono il tuo tragitto fino all’uscita dalla stazione. È proprio in quel momento, però, quando sali gli ultimi scalini e rivedi il cielo, in cui puoi farti da subito un’idea del costo della vita. Da una parte hai il cemento, nudo e crudo, che caratterizza i palazzoni che ti trovi a lato, davanti, dietro e sotto i piedi; dall’altra il tuo sguardo si infrange contro il Colosseo, contro una delle opere storiche più importanti al mondo, mentre negli altri lati in cui puoi girare lo sguardo troverai abitazioni storiche caratteristiche, altri reperti storici oppure una strada curata.
Rebibbia. Fotografia di Francesco Formica
L’architettura, d’altronde, è probabilmente la forma d’arte umana che meglio di ogni altra rappresenta il nostro passaggio sulla terra. Senza dubbio è la più resistente: è naturale che un palazzo abbia un’aspettativa di vita ben più lunga di una tela o di un libro. In secondo luogo, l’architettura non te la scegli. Per leggere un libro devi prima cercarlo, sfogliare una pagina dopo l’altra e nel frattempo investire tempo ed energie per leggerlo, di certo un’attività non facile e non immediata, così come per ammirare un quadro: non si trovano sparsi per strada, ma bisogna nella maggior parte dei casi pagare un biglietto per accedere ad un luogo in cui camminare lentamente ed in silenzio. Le abitazioni e più in generale qualsiasi tipo di edificio, invece, te li trovi di fronte senza neanche saperlo. In Italia, più di ogni altro posto al mondo probabilmente, tralasciando qualsiasi forma di campanilismo, camminiamo tra secoli di arte, cultura e bellezza.
L’architettura riflette chi la pensa, la costruisce e poi ci vive
Forse è proprio perché negli edifici ci viviamo oppure perché sono la cosa più grande che possiamo vedere appena mettiamo i piedi fuori di casa, ma l’architettura è uno degli elementi che ci permette di comprendere meglio le modalità in cui una società organizzava la propria vita, oppure come interpretava il mondo ed il suo sistema di valori. L’architettura, infatti, ha una fortissima funzione sociale che, a mio avviso, è più immediatamente rappresentata dalla differenza di culture tra i popoli di matrice anglosassone e l’Italia. Osservando la struttura dei tessuti urbani tra una città inglese ed una italiana, ad esempio, è possibile osservare la diversa concezione dello spazio pubblico e basta addentrarsi in un qualsiasi romanzo anglosassone per comprendere come lo spazio privato, solitamente il piccolo giardino che sta dietro all’abitazione, quindi lontano dagli occhi indiscreti della strada, sia quasi vitale per i cittadini inglesi, a differenza invece di quelli che sono anche i più piccoli borghi italiani. Il primo esempio che mi viene in mente è Orvieto, nella provincia di Terni, caratterizzato da viuzze e case costruite quasi una sopra l’altra, tutte intorno ed ovviamente sotto al grandissimo duomo della cittadina, che emerge e spicca con una maestosità quasi inquietante, è visibile persino dalle strade che portano ad Orvieto, ben prima di avvicinarsi al centro della città.
A tal proposito, l’uso ideologico degli stili architettonici scelti dai regimi novecenteschi, basti pensare a quello fascista oppure al brutalismo sovietico. Insomma, l’architettura ha sia una funzione sociale che culturale. Proprio queste ci hanno portato ad interrogarci ed indagare i compiti che gli edifici ricoprono nelle periferie, zone spesso abbandonate a se stesse dalle istituzioni e dai media, tranne nei casi in cui in esse accadono fenomeni negativi che, naturalmente, non possono non essere raccontati per alimentare ulteriormente quello stereotipo da cinema gangsta che ormai aleggia su tutte le zone periferiche delle grandi città italiane. Eppure, c’è molto di più.
Stazione metropolitana Rebibbia. Fotografia di Francesco Formica
Un edificio può conoscere molte vite diverse: recupero e riuso degli spazi abbandonati
Un palazzo, una casa o in qualunque altro modo vogliamo chiamare un edificio destinato all’uso abitativo – escluse situazioni particolari come l’intervento dell’uomo o della natura – ha una vita “fisiologica” molto più lunga di quella di generazioni e generazioni di esseri umani. Ciò comporta che un edificio riesce a vivere età e periodi diversi, trasformandosi da una villa di campagna ad una clinica pubblica destinata alle classi sociali più fragili.
Uno sguardo fuori dall’Italia: Le Château en santé
È questo il caso di Le Château en santé, antica villa di campagna immersa nei quartieri a nord di Marsiglia, i più difficili della città ed anche in questo caso basta osservare qualche foto per comprenderlo facilmente. La villa, infatti, è immersa in una serie di costruzioni in cemento, i ben noti palazzoni delle periferie in cui vivono centinaia di famiglie in condizioni particolarmente precarie. Le Château en santé è diventata, dopo anni di lotte ed impegno, una clinica aperta a tutti. Non è stato affatto facile recuperare l’edificio, ma soprattutto avviare l’attività medica: un anno prima dell’apertura ufficiale sono stati consultati anche due antropologi per favorire l’inserimento della struttura nella comunità e ai medici non sono mancati i consigli di barricarsi all’interno dell’edificio, anche se poi ciò non è stato necessario. La clinica ha potuto contare fino ad oggi su finanziamenti provenienti solo al 50% da fondi pubblici, il restante da quelli privati. Un altro aspetto particolarmente degno di nota di questa struttura riguarda anche la gestione interna: la governance è distribuita tra tutti i membri operativi, che hanno scelto anche per la totale parità di reddito in modo tale da non creare alcuna discriminazione.
I libri ridanno vita al rione Sanità
La periferia non è solamente un concetto urbano, come dimostrano alcune zone di Napoli, prima su tutte il rione Sanità. Centro storico della città partenopea, questo quartiere vive da anni realtà di degrado e criminalità, essendo quasi totalmente in mano alla camorra. In questo caso, l’architettura ha dato vita a una delle zone più attraenti di Napoli, con i suoi edifici storici e con la sua conformazione territoriale che rende il rione Sanità una vera e propria bomboniera. Tuttavia, la zona si trova da anni a dover vivere in un contesto sociale totalmente abbandonato dalle istituzioni, come dimostra la profonda penetrazione delle associazioni mafiose. Proprio in questo contesto, però, sono molte le associazioni che si impegnano per recuperare il territorio e la sua socialità: una di queste è l’apertura della libreria nell’edificio confiscato alla camorra che ha preso il nome di Casa nostra, grazie all’attività dell’associazione Adda passà a nuttata. Lo scopo di questa iniziativa è ovviamente il recupero dei giovani di quartiere tramite attività culturali e sociali, strumenti che possono alimentare le alternative e le prospettive di vita. L’associazione si è impegnata anche per riqualificare l’edificio, tramite raccolte di fondi provenienti dai privati che hanno permesso l’agibilità della struttura, dopo anni in cui era stata utilizzata solamente per scopi illegali.
Dimentichiamo troppo spesso che le periferie sono abitate, vissute da esseri umani e non da personaggi di fiction in cui vengono raccontati i lati più oscuri legati al malaffare o di serie action nelle quali le pistole sono quasi sempre le protagoniste assolute. Le istituzioni dovrebbero quantomeno interessarsene prima ancora di pensare ad un serio piano di recupero sociale e poi architettonico.
*Non me ne vogliano i romani per la troppa attenzione o, per il senso opposto, gli abitanti delle altre città italiane, prendiamo come esempio la capitale solo per la confidenza personale dell’autore.