Considerazioni su mia madre nasce dalle urla notturne dell’inconscio. Dalla forza dirompente dei simboli che erodono il pudore, mentre disegnano l’astronomia della paura. Nel sogno una lettera, la ricerca della verità dell’Altro che esplode sulla carta, l’acqua versata sulle pagine che minaccia di lavare via le parole destinate all’incontro.
Considerazioni su mia madre, l’unica frase che resta – superstite – è ora uno spazio di libertà nel quale incontrare noi stessi e le mille voci che costruiscono la fisionomia contraddittoria di ciascuno. È il tentativo di uscire dall’abbraccio materno per imparare un nuovo alfabeto e, superando le colonne d’Ercole, tracciare i propri confini del mondo. Nasce da queste suggestioni la rubrica de L’in-esistente che raccoglierà varie forme di manifestazione del pensiero, dalle poesie alle riflessioni, dagli articoli di attualità a quelli di cultura. L’obiettivo è individuarsi attraverso l’atto dello scrivere abbandonando regole e costrizioni, tanto nei contenuti quanto nello stile, congedando i modelli che sanno essere fonte di ispirazione ma anche gabbia potente. Abbandonare, quindi, il retaggio culturale del materno che ci costruisce, ma dal quale ci allontaniamo per riconoscerci.
La madre, figura archetipica della psicoanalisi, si presenta come l’a-priori che modella la psiche, orienta i comportamenti, plasma l’esperienza. La madre rappresenta il duplice risvolto della cura, affido generoso al cosmo e tentativo di esaurirlo. Generare per lasciare andare, nel materno risiede la possibilità di comprendere l’antinomia dell’esistenza.
Gettati nel mondo da una madre che ci consegna alla vita, rubiamo i suoi occhi per riuscire a vedere – e a vederci – ci appropriamo del suo orizzonte per costruirne un altro, inedito, non appena saremo in grado di farlo. La sua onnipotenza generativa è limitata dalla consapevolezza del tradimento, atto dolorosamente necessario di ri-nascita. Scriveva Pasolini nella poesia Supplica a mia madre:
E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame
d’amore, dell’amore di corpi senza anima.
Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
Lasciare le mani della madre e combattere contro l’impulso di stringerle ancora, pena la dispersione di sé. Tracciare confini che non siano troppo netti, evitare l’invasione di uno spazio che tenta ancora di definirsi. Cercare la ricomposizione nella rottura, o forse sperare nella ricomposizione ancor prima che la frattura avvenga, prigionieri di un’attesa infinita. Ostacolare l’assenza di ribellione come atto di codardia, strumento di difesa dalle fragilità e dalle bassezze dell’Altro. Fortezza inespugnabile contro le aspettative deluse.
Considerazioni su mia madre è la redenzione dal peccato originale di essere estranei nel corpo altrui, vicini e lontani al contempo, padroni di desideri che feriscono.