Nella sezione dei Giovani Democratici dell’ottavo Municipio di Roma abbiamo incontrato Giulia Lanciotti, Eleonora Patta, Cecilia Arnesano e Sara Albertini. Donne in politica, «corpi di donne dentro la politica». La nostra intervista ha assunto i toni di una chiacchierata attorno a un tavolo, della quale riportiamo i nodi fondamentali.
Partendo dall’elezione di Giorgia Meloni, così come nelle precedenti interviste che affrontano il tema delle donne e il potere, siamo giunte a riflettere sul valore simbolico che assume l’insediamento del governo Meloni per un Partito di sinistra, ma anche sulle esperienze politiche individuali che richiedono un’opera di rottura dei paradigmi precedenti e l’individuazione di nuovi modelli di riferimento.
«Quello che rende tutto più complicato è l’assenza di un punto di riferimento femminile, perché la nostra generazione sta iniziando a comprendere ora che possiamo entrare nel mondo della politica e costruire qualcosa. È una difficoltà che la sinistra non abbia un punto fermo in cui poterci rispecchiare».
Giulia. L’elezione di Giorgia Meloni ha avuto un impatto molto forte sulla società e soprattutto sulle giovani donne, perché vedere una donna al potere ti porta a dire: “posso riuscirci anche io”. Il problema è l’ideologia di Meloni e i contenuti politici che propone, oltre al concetto stesso di potere che ha delle forti accezioni maschili. Personalmente credo che il mondo femminile e il mondo maschile presentino delle differenze irriducibili. Parliamo sempre degli standard maschili da raggiungere, ma quali sono gli standard femminili a cui puntiamo? Siamo costantemente alla rincorsa di quei parametri maschili che forse in realtà non ci appartengono.
Eleonora. Purtroppo siamo in una situazione in cui le donne che emergono in politica – e non parlo solo di Meloni, ma anche del contesto europeo e statunitense – inconsciamente o consciamente non rinnegano il modello patriarcale sul quale si fonda la nostra società. Il fatto che Meloni sia stata la prima donna a ricoprire una delle cariche maggiori delle nostre istituzioni non ci esime dal farci delle domande all’interno di un Partito di sinistra che per ora non ha visto nessuna figura femminile ai vertici del potere, rimane il fatto che il potere come è articolato ora – e in generale il sistema politico – è fortemente maschile e una donna che non si adegua a certe dinamiche non riesce con facilità. Quello femminista, al contrario, è un messaggio di rottura, non è un caso che nei nostri circoli siamo in minoranza, nonostante la nostra giovane età.
Giulia. Il linguaggio politico è molto importante. Penso a Soumahoro, che in aula si è sentito dare del “tu” anziché del “lei” proprio da Giorgia Meloni. La cosa che mi ha impressionato è stata l’impostazione vocale da leader tipica delle figure maschili quando ha intimato la calma. Rispetto a questo mi chiedo: “Qual è la tua modalità di espressione in quanto donna al potere?”. Nel nostro partito, come diceva Eleonora poco fa, ci sono poche donne, che tra l’altro mi sembrano più propense ad entrare in associazioni o sindacati studenteschi. D’altronde stiamo vivendo una fase storica di crisi della democrazia partitica.
Cecilia. Vorrei fare un punto sulla mascolinizzazione volontaria di Giorgia Meloni. Stiamo parlando tra donne di sinistra del fatto che sia la prima presidente del Consiglio donna e giustamente ci stiamo facendo autocritica, ma lei non vuole essere ricordata così. È un dato di fatto che sia donna, ciononostante non lo sottolinea mai, tramite una nota di Palazzo Chigi ha detto di voler essere chiamata il “Signor Presidente” – andando anche contro la grammatica dal momento che si riconosce come donna – e nel vestiario non è mai stata così mascolina. È come se l’aspetto leaderistico dovesse passare da un abbigliamento maschile. Non è mai sorridente, non indossa colori riconducibili – anche in un’accezione sessista – al femminile. Banalmente non sta facendo nulla per le donne e sta scegliendo figure maschili tra i ministri, soprattutto quelli con portafoglio. Tutte le persone che l’hanno guidata nel suo percorso politico sono uomini, quindi lei è un’eccezione ma non ha smosso nulla.
Sara. Rispetto al vestiario, ricordo che durante l’insediamento non ha messo i tacchi. È una cosa banale ma ha deciso di presentarsi con un completo scuro totalmente maschile e questo ci fa comprendere che, se a livello storico la sua elezione resterà per sempre, nella realtà dei fatti non so quanto possiamo identificarla come un punto di riferimento futuro per le donne. È come se ci fosse un uomo al governo, non porta delle istanze femministe e non produce una rottura. Il potere è lo stesso e il fatto di voler rimarcare che non c’è stata nessuna differenza paradossalmente aumenta ancora di più un’accezione maschile. A lei riconosciamo un dato storico, non un cambiamento.
Giulia. Sono d’accordo. Dobbiamo ragionare anche sui processi che portano le persone a occupare determinate cariche. Alcuni temi vengono portati esclusivamente sotto il nome di una persona, non tanto sotto a un progetto o in un contenitore politico. Come si pone il corpo della donna all’interno di questi processi? Non ha modo di farlo, a mio parere. Noi siamo corpi di donne dentro la politica. Non è immediata la riflessione su come ci percepiamo. Mi chiedo se all’interno della sinistra ci sia stato spazio per ragionare su questa dinamica.
Cecilia. A me sembra che ci sia una grande differenza tra le generazioni. Osservando le dinamiche del rapporto uomo-donna nel Partito Democratico e quelle nei Giovani Democratici mi rendo conto che esistono delle diversità. Negli ultimi mesi mi sono occupata molto di aborto e ho notato una fortissima attività degli uomini all’interno della sezione giovanile, quindi mi sento speranzosa verso il futuro. Vedo degli uomini che lottano con voglia. Noi giovani abbiamo aperto un dibattito con Livia Turco proprio rispetto alla legge sull’aborto che andrebbe rivista e non abbiamo ricevuto una risposta positiva, quindi in questo Partito c’è anche una mancanza di consapevolezza da parte delle donne.
Giulia. Molte compagne più grandi di noi parlano del PCI come di un Partito che presentava forti tratti maschilisti e chi viene da quel retaggio porta, anche inconsciamente, quei paradigmi culturali. Gli stessi paradigmi noi li abbiamo ereditati – parlo delle rivoluzioni degli anni Sessanta e Settanta – ma abbiamo permesso loro di evolversi. Per i senior della politica, invece, la legge 194 è stata il capolavoro politico del loro tempo, anche se presenta molti tratti conservatori. A tal proposito una nostra compagna, Vittoria Costanza Loffi, ci ha coinvolte nella campagna “Libera di abortire” e abbiamo compreso grazie a lei le contraddizioni intrinseche a quella legge, che però non arrivano alla società né alla nostra generazione. Spesso si pensa che basti la 194, invece non soltanto manca un tipo di narrazione diverso all’interno del Partito, ma anche tra sistema politico e cittadinanza.
Sara. Condivido l’esistenza di un cambiamento a livello generazionale. Allo stesso tempo penso anche che nel momento in cui mi ritrovo a vent’anni a fare politica i miei punti di riferimento sono sì dei miei coetanei, ma tutti uomini. La difficoltà è capire che, per quanto possano essere il mio punto di riferimento, c’è bisogno che io riesca a mettere in atto una rottura perché devo trovare il mio percorso. Quello che rende tutto più complicato è l’assenza di un punto di riferimento femminile, perché la nostra generazione sta iniziando a comprendere ora che possiamo entrare nel mondo della politica e costruire qualcosa. È una difficoltà che la sinistra non abbia un punto fermo in cui poterci rispecchiare, nonostante la differenza tra i percorsi. Neanche a livello quotidiano c’è questo riscontro, per cui su alcune tematiche faccio riferimento a dei ragazzi che, per quanto fantastici, sono persone che hanno trovato difficoltà molto diverse dalle mie.
Giulia. Il mio timore prima di entrare nei Giovani Democratici era proprio quello di trovare una struttura gerarchica nella quale sarebbe stato difficile emergere. Con il tempo mi sono ricreduta, perché mi trovo in un gruppo fantastico. Mi sono ritrovata ad avere dei punti di riferimento maschili che all’inizio seguivo perché dovevo imparare a fare politica, per cui la formazione me l’hanno fatta dei compagni ma poi ho iniziato a farla anche io per compagni e compagne. Probabilmente per emergere bisogna imparare assieme, la formazione dei militanti va redistribuita, così da poter aprire un concetto nuovo di organizzazione del potere all’interno di un gruppo.
Parlando di formazione e di modelli, mi viene spontaneo chiedere se avete dovuto passare attraverso un’opera di de-costruzione prima di avvicinarvi alle tematiche femministe di cui stiamo discutendo e che fanno parte della vostra azione politica.
Giulia. Il nostro circolo, quello del Municipio VIII, non esisteva da un po’ per cui non abbiamo dovuto ricostruire ma costruire, questo ha fatto sì che non ci portassimo dietro delle dinamiche tossiche. Con i temi del femminismo sono in contatto da sempre, perché ho sperimentato un contesto familiare e scolastico dinamico che mi ha permesso di prendere consapevolezza della mia posizione all’interno della società. La scuola da questo punto di vista è essenziale, perché capisci dove sei e dove potresti arrivare ma magari non puoi. La politica è sempre stata un mio interesse, mi sono iscritta a Scienze Politiche in maniera molto naturale.
Eleonora. Anch’io mi sono iscritta a Scienze Politiche e ho avuto la fortuna di conoscere una persona – una donna – che mi ha fatto aprire gli occhi sulla parte bella del fare politica. Lei, per me, è stata un punto di rottura perché fino a quel momento avevo conosciuto soltanto uomini in quell’ambito. Molti dei ragazzi dei Giovani Democratici li conoscevo, per cui andare in riunione e iniziare a parlare per me è stato più facile, anche se delle difficoltà ci sono state perché mi rendo conto che le donne parlano sempre meno rispetto agli uomini, fanno meno domande e si pongono più problemi. Negli uomini noto una spensieratezza diversa. Con il femminismo sono entrata in contatto al liceo dove c’era un collettivo femminista e ho continuato all’università. Il femminismo in politica c’è, queste tematiche faticano evidentemente ad emergere.
Sara Albertini e Alessia Lambazzi nella sede dei Giovani Democratici di Garbatella. Fotografia di Martina LambazziGiulia. Nella facoltà di Scienze Politiche, tra l’altro, sono sempre esistiti i Giovani Democratici, ma improvvisamente ci siamo ritrovate a fare politica insieme. Ho notato che a mano a mano che le compagne di università si iscrivevano, parlavano di un’iniziativa, invitavano altre persone agli eventi il contesto dei GD ha iniziato a diffondersi. Forse questo potrebbe essere un percorso da intraprendere per far vedere che, anche se la politica è dettata da dinamiche maschili e il Partito si regge su una struttura gerarchica, le cose possono cambiare.
Cecilia. Noi donne forse siamo più brave a coinvolgere le altre compagne, a fare gruppo, perché probabilmente per proteggere i nostri diritti ci circondiamo di persone che possano comprenderci, invece molti uomini sono impegnati in politica ma poi hanno amicizie lontane dal punto di vista ideologico. Una mia compagna, di fronte all’insediamento del nuovo governo, mi ha detto: “voglio poter dire che in quel periodo stavo lottando come meglio potevo”.
Eleonora. Il potere femminile è relazionale, è un potere che guarda all’Altro e lo riconosce perché nasciamo come diverse. Essendo tali – il principio di uguaglianza vige rispetto a un uomo – riusciamo a capire meglio le diversità altrui.