La semplificazione è tra le più pericolose e illusorie palafitte culturali attraverso cui scegliamo di leggere le persone ed interpretare i rapporti sociali. Esistenza è la traduzione ontologica di complessità: riconoscere una significa restituire legittimità anche all’altra.
Nella lunga chiacchierata con evastaizitta (Giulia Paganelli) abbiamo parlato di corpi non conformi, di corpi grassi, di corpi femminili, di sistema di addomesticamento patriarcale e femminismo. Ma per la verità, evastaizitta ci ha regalato la lettura e la testimonianza dei corpi ribelli che stanno riattivando le loro «corde vocali» per attingere alla loro complessità e farla essere con il diritto che merita.
Perché scegli di chiamarti evastaizitta?
L’idea è arrivata sotto la doccia, solitamente il luogo in cui mi vengono le idee migliori, ma anche quelle più irrealizzabili. Arrivavo da un percorso accademico piuttosto lungo che riguardava principalmente l’antropologia dei corpi e l’antropologia dei corpi non conformi. Mi sono ritrovata ad un certo punto totalmente insoddisfatta perché avevo un sacco di conoscenze ma rimanevano chiuse all’interno di un circolo che parla una lingua non accessibile a tutti.
Da diverso tempo stavo pensando di utilizzare in modo positivo Instagram e la scelta del nome doveva significare, doveva avere il suo peso e allora mi è venuto in mente che la prima donna riconosciuta dall’umanità e redarguita per aver mangiato è stata Eva nel giardino dell’Eden. Lo “stare zitta” invece è una frase molto identificativa del sistema patriarcale. Ho sempre pensato che la questione dei corpi non conformi e dei corpi grassi e la trattazione del femminismo fossero imprescindibili l’una dall’altra. Vivono di dinamiche che si intersecano tra loro.
Perché decidi di parlare di grassofobia, di inclusività e quindi di femminismo?
Prima di tutto perché sono un corpo grasso. E perché sono un corpo femminile. Sono un corpo femminile bianco cis, ma allo stesso tempo sono un corpo non conforme. Da una parte ho un archivio mentale con tante conoscenze accademiche che mi permette di destrutturare argomenti come la grassofobia, il sistema patriarcale, il fat shaming, l’abuso e la lettura del corpo non conforme. Dall’altra parte ho le mie esperienze di vita su questo corpo e credo che sia fondamentale poter portare la propria esperienza.
Sono una grande fan dello storytelling, inteso non come “ti racconto da una posizione dominante come dovrebbe essere per te il tuo corpo” ma “ti racconto come è stato per me. È possibile che per te sia stato simile in alcuni momenti oppure è possibile che per te non sia mai stato in quel modo, ma ascoltando la mia storia – se per te non è mai stato in quel modo lì – è possibile che tu ti accorga di alcuni tuoi comportamenti che hanno portato altri corpi a sentirsi sbagliati”.
La grassofobia non va scissa dal femminismo perché il corpo è il terreno di una continua lotta politica e di rivendicazione del proprio posto nel mondo e non si può decidere sulla base della forma di un corpo se una persona sia degna di quel posto.
Ed è attraverso lo storytelling personale che ti sei allontanata dal linguaggio accademico?
Nel primo mese di evastaizitta ho reiterato lo stile accademico perché era la mia zona di comfort ed è sicuramente più facile nascondersi dietro a dei paroloni. Poi una sera ho scritto un post riguardo alla diet culture, inserendo una parte di esperienza personale e, onestamente, mi ha fatto un male bestia.
Ma hanno iniziato ad arrivarmi messaggi di storie personali ed è una cosa che mi ha destabilizzato profondamente perché non avevo preventivato o preso in considerazione l’eventualità che qualcun altro potesse regalarmi le storie dei loro corpi. Ed è stato palese che per poter parlare di corpi grassi – che è un argomento delicato e complicato perché sono i corpi non conformi che vengono dati maggiormente per scontati – è fondamentale far capire alle persone che sì, esiste la possibilità di sentirsi sbagliati, non degni, privi di morale, ad un certo punto anche di sentirsi come tutto il resto del mondo ti considera: pigro, svogliato, un abbuffatore seriale, incapace di controllarsi con il cibo. Rumoroso, sporco.
Le senti tutte queste cose nella tua vita e sono queste cose che innescano l’addomesticamento dei tuoi comportamenti nei confronti del mondo esterno, perché tendi a voler essere invisibile, il più possibile. In quei momenti ci sentiamo profondamente soli, ma non lo siamo. E per farlo capire alle persone che sono arrivate sulla mia pagina ho detto loro: “io in quel momento sono stata così”.
Utilizzare uno storytelling e una narrazione personale ha aiutato anche te a sentirti meno sola? Ricevere le storie di chi ha voluto condividere parte della loro vita con te ti ha fatto sentire meno sola?
Questa è una domanda molto bella ma anche molto complicata, che ammette almeno due posizioni diverse nei confronti della mia narrazione.
Da un lato ci sono tutte le persone che fanno parte della mia vita da molto o poco tempo che, quando hanno iniziato a leggere queste cose, si sono sentite profondamente destabilizzate perché si sono riconosciute in alcuni episodi. Ovviamente non si erano mai resi conto di aver provocato quello che scrivo e questo ha portato anche alcuni di loro a riflettere, mentre altri ancora ad arrabbiarsi, a momenti di permalosità importanti. Perché per loro è normale, non ci fanno caso.
Dall’altro lato sono arrivate delle storie, non tutte uguali né per somiglianza né per differenza. Tanti rivendicano il loro non essersi mai sentiti in dovere di limitarsi o addomesticarsi e sono contenta per loro, perché hanno vissuto meglio. Altri mi hanno detto: “è successo anche a me”.
E io non credo che la solitudine sia tutta da buttare. I momenti di azzeramento e ricomprensione, che precedono sempre ciò che poi condividiamo in modo corretto, ci permettono di prendere consapevolezza rispetto a ciò che abbiamo fatto al nostro corpo, ma anche consapevolezza riguardo alle parole adeguate per poterlo raccontare. Io sono un’ossessionata di parole, un’ossessiva, ed è mia profonda intenzione far capire non soltanto agli altri corpi grassi, ma soprattutto ai corpi conformi che leggono quali sono tutti i passaggi di quelle sensazioni. È fondamentale per i corpi conformi rendersi conto di cosa riescano ad innescare atteggiamenti, per loro insignificanti, nei corpi che in realtà vengono indossati con fatica ogni giorno.
Parli di corpi docili e di corpi ribelli. Chi sono? E quanto della loro esistenza è riconducibile al linguaggio e alla narrazione in cui sono inscritti?
Facciamo una piccola premessa: il mio percorso accademico mi ha portata ad avere delle ideologie, delle filosofie ma anche delle teorie antropologiche a cui mi sento vicina. Dico sempre di essere una foucaultiana convinta e credo che la terminologia utilizzata da Michel Foucault sia molto interessante anche applicata ai corpi grassi.
I corpi grassi sono corpi che Michel Foucault definirebbe devianti dalla norma, quindi corpi ribelli. Corpi che vengono inseriti all’interno di un sistema di istituzioni di potere, che potremmo inserire nel grande tassello del sistema patriarcale, ma anche nelle più piccole istituzioni come il diet system o l’istituzione della bellezza e quindi il mito della bellezza.
Ovvero sistemi che tendono a costruire stereotipi di conformità a cui tutti i corpi – non solo quelli devianti – vogliono tendere. È lo stereotipo di perfezione che non sarà mai raggiungibile e per questo rende tutti i corpi docili e assoggettati a queste situazioni di potere. In grado di ricevere questi diktat e desiderosi di seguirli per potersi conformare.
Parlando di Foucault mi dicevi di ritrovare in Sorvegliare e punire una stretta corrispondenza tra la spettacolarizzazione della condanna – e quindi del condannato a morte – e la spettacolarizzazione del corpo grasso.
Se ci pensi, Sorvegliare e punire racconta l’evoluzione del tipo di pena inflitta al corpo. C’è un primo momento in cui il punitivo è pubblico, viene eseguito in pubblica piazza, per una duplice funzione: la punizione del corpo deviante e l’addomesticamento e l’educazione del corpo che guarda.
Con il passaggio al sistema carcerario, che Foucault identifica con un sistema di sorveglianza visiva, rifacendosi al Panopticon di Bentham, si registra quel passaggio feroce dall’additare pubblicamente un corpo grasso, dicendogli “mangia meno, dimagrisci”, al sistema di videosorveglianza del corpo grasso che diventa una sorta di fat shaming silente e che avviene prevalentemente in ambito famigliare e relazionale stretto.
Come quando sei a tavola a Natale, a Pasqua o nelle cene di famiglia. C’è sempre uno sguardo dei partecipanti sul tuo piatto. Quello sguardo che, ad un certo punto, senza dire niente ti fa capire: “basta non mangiare più”. Esiste sempre uno sguardo che controlla quanto voracemente stai mangiando, se fai rumore mentre mastichi, quante volte la tua mano si sposta dal piatto di portata al tuo per trasportare cibo.
Io penso che Sorvegliare e punire sia il libro da cui partire per parlare di grassofobia e di corpi grassi. Quello che subiscono i corpi grassi è che altri decidano cosa serve al loro corpo e che questa decisione sia pubblica e collettiva così da far vedere anche ai corpi conformi cosa non bisogna fare. È esattamente il pensiero che sta alla base della diet culture, che decide quali siano i cibi giusti e quali quelli sbagliati, collocandoti sempre nel difetto morale se sgarri da quella regola. E questo difetto morale è stabilito dalla collettività che guarda quello che fai.
Secondo te si verifica anche l’univocità dello sguardo teorizzata nel Panopticon? Cioè, i corpi grassi sono costantemente guardati dagli altri senza avere la possibilità di guardarli a loro volta?
Esiste una tripla stratificazione del senso della vista: le persone grasse sono costantemente guardate da una parte, ma dall’altra si vorrebbe non vederli perché si ha paura di loro. Allo stesso tempo i corpi grassi non vogliono farsi vedere perché hanno capito che nell’invisibilità c’è la loro pace.
Del Panopticon, io penso che sia importante il sistema di controllo gli uni sugli altri. Anche tra i corpi grassi esiste questo controllo perché quando ci guardiamo tra di noi sentiamo di poter esteriorizzare nei confronti degli altri corpi grassi la grassofobia introversa, cioè quella interiorizzata dall’esterno.
Come si diventa un corpo ribelle in una società disciplinare in cui la norma è il potere?
Potrei risponderti in tantissimi modi, ma in realtà penso che il corpo grasso sia un corpo ribelle solo esistendo. Solo con la sua esistenza ammette la possibilità che esiste vita fuori da un sistema disciplinato. È vero che siamo continuamente sottoposti a misure disciplinari ma nonostante questo continuiamo ad esistere. E continuiamo ad esistere talmente tanto da pretendere un posto nel mondo, una nostra narrazione, ma soprattutto pretendere che la nostra identità e la nostra voce ritornino di nostra proprietà indipendentemente dalla forma del nostro corpo.
Credo che questo sia il momento storico più interessante per questa militanza proprio perché si cerca di destrutturare l’immagine del corpo grasso. Da una parte creando nei corpi conformi la realizzazione del privilegio che loro hanno all’interno di questo sistema disciplinare, dall’altra parte togliendo ai corpi grassi la convinzione di essere soltanto tali.
evastaizitta
Allora, se le persone diventano coscienti di essere persone indipendentemente dalla forma del loro corpo, il sistema disciplinare diventa completamente innocuo. Ovviamente è un processo lunghissimo, non ne vedrò la fine così come non ne vedrà la fine la generazione successiva, però abbiamo iniziato a farlo, abbiamo iniziato a pretendere.
Ci sono tante persone che fanno militanza in questo senso e io credo che sia la strada giusta per togliere potenza al sistema disciplinare, perché per quanto cerchino di inculcarci disciplina non la seguiamo e non seguendola non moriamo, esistiamo comunque. Per questo ti dico che soltanto esistendo il corpo grasso è il corpo ribelle, diventa spaventoso per il sistema disciplinare, diventa un mostro.
E pensi sia questa militanza la strada da percorrere per liberarsi definitivamente dal sistema di addomesticamento del patriarcato?
Prima di tutto credo sia fondamentale rendere coscienti quante più persone possibili. Insisto moltissimo sul tema della divulgazione, che non è semplice e non è per tutti. Ma nel momento in cui ci assumiamo la responsabilità di portare all’esterno teorie, convinzioni ed esperienze personali queste devono essere accessibili alla maggior parte delle persone che ci possono leggere.
In loro si genera prima di tutto curiosità, letti i primi post, però, iniziano a subentrare le domande che rappresentano l’inizio della destrutturazione del sistema. Penso che sia questo il canale corretto: parlare a quante più persone possibili e fornire loro quanti più strumenti possibili e fare in modo che inizino a porsi delle domande.
Nel momento in cui si riesce a risvegliare le coscienze delle persone e a renderle corpi desti, il sistema patriarcale – che è un sistema profondamente silente per quanto riguarda i corpi grassi – smette di avere potenza e comincia a diventare una struttura che sei in grado di riconoscere e che puoi distruggere con le argomentazioni o anche semplicemente scegliere di non prenderne parte.
Come descriveresti la libertà di un corpo e la narrazione di un corpo?
La libertà per me è poter essere quello che si è come individui, come identità e come voci narranti senza doversi preoccupare che vada bene o meno all’esterno. In questo momento, la libertà per un corpo grasso è esistenza e riconoscimento dell’esistenza, prima la nostra e poi del resto del mondo.
Ti potrei anche dire che la libertà è l’estromissione del corpo dalla costruzione dell’identità della persona, ma non è vero. Il corpo è una mappa importantissima per la costruzione dell’identità. Io credo che sia libera la persona che si conosce completamente, che conosce il proprio corpo e, indipendentemente dalla forma del corpo, abbia la sua identità come voce, come pensiero. È libertà anche questa intervista, poter rispondere alle tue domande senza avere paura di ricevere attenzione o di dire cose che a volte possono far male alle persone che fanno parte della mia vita.
Nei tuoi post citi Roxane Gay per parlare di body positivity, body neutrality e femminismo. Lei scrive “i corpi sono il palcoscenico politico su cui si combatte la guerra al patriarcato”.
Roxane Gay è un’attivista straordinaria, l’ho conosciuta attraverso Hunger. Storia del mio corpo, che è un libro doloroso per qualsiasi corpo grasso ci entri in contatto. Nell’introduzione lei dice una cosa che è profondamente vera: “questa non è la storia di un corpo vittorioso, ma è la storia di un corpo che ha fallito nei confronti della persona che sono”.
Adoro Roxane Gay perché lei ammette il limite umano che esiste nei confronti delle grandi ideologie. Lei, ad esempio, dice di essere una cattiva femminista e mi ci riconosco tanto in quella definizione, perché spesso all’interno della bolla del femminismo ci sono posizioni talmente statiche e talmente tendenti alla perfezione da farmi sentire inadeguata.
Sono una cattiva femminista perché il femminismo come ideologia non è raggiungibile da nessuno, indipendentemente da quanto si pensi di poterlo fare. In tutte noi esistono delle ombre e delle mancanze di applicazione di quello in cui crediamo. Ammettere il limite che abbiamo come essere umano nella pratica perfezione del femminismo è fondamentale per poter fare attivismo.
Il corpo è il terreno politico su cui si combatte il sistema patriarcale da sempre, che è un sistema di assoggettamento prevalentemente del corpo femminile al compiacimento e al desiderio dello sguardo maschile, quello interiorizzato e non, quindi non appartenente unicamente ai maschi. Il modo in cui pretendiamo proprietà del nostro corpo diventa una lotta politica nei confronti del sistema patriarcale.
In un momento storico come questo in cui, come è accaduto poche altre volte nella storia, il personale, in questo caso il corpo femminile, ha dovuto rendersi pubblico, qual è il ruolo politico del corpo della donna?
Il ruolo politico del corpo della donna c’è sempre, in ogni momento della giornata, solo resistendo. Nel 2021 abbiamo un’apparente percezione di autonomia sul nostro corpo e sulle nostre decisioni, in realtà siamo perennemente sottoposte a delle istituzioni di potere. Ne è un esempio tutto il sistema della beauty e della cosmetica.
Diventa politico quando la proprietà del tuo corpo è tua e indipendentemente da ciò che fai del tuo corpo, la decisione è tua. E solo così riacquisti una voce, perché quello che il sistema patriarcale tende a fare è spegnere le corde vocali, assoggettando i corpi. Ma io solo esistendo, solo decidendo di postare una foto o di scrivere qualcosa sto facendo una lotta politica perché mi sto contrapponendo ad un sistema dittatoriale nei miei confronti.
Credo che questo sia il momento precedente alla grande rivoluzione, come nelle cronache delle battaglie medievali in cui esiste sempre la narrazione della sera precedente: io penso che ora si stiano posizionando le parti in gioco. Da una parte c’è la volontà di riacquistare proprietà, voce e identità autonome dal sistema, dall’altra parte c’è la reiterazione di schemi pazzeschi, come la fantasia della dittatura del politicamente corretto. Quest’ultima parte cerca di parare eventuali colpi futuri, ma procrastinando quello che in realtà serve e cioè una profonda propensione al cambiamento.
Il sistema patriarcale è profondamente ostile al cambiamento, perché il cambiamento ammette anche la sconfitta e il fallimento. E quindi cerca di portare avanti delle strutture che nel corso della storia sono sempre identiche le une alle altre.
Riuscendo anche a fagocitare al suo interno ciò che percepisce come controcultura o sottocultura, quello che in parte descriveva Adorno parlando di industria culturale.
Assolutamente. Nell’Otello Shakespeare descrive la gelosia in un modo che è perfettamente applicabile al sistema patriarcale: un mostro dagli occhi verdi che dileggia il cibo di cui si nutre. Lo cannibalizza e fa in modo di distruggerlo per scomporlo ai minimi termini in una massa incolore e informe che può essere totalmente gestita e digerita.
Ma è questa la notte prima della grande battaglia e se da questa parte ne siamo coscienti, sentiamo l’odore della rivoluzione che arriva, dall’altra parte non ne sono pienamente coscienti. Forse abbiamo un vantaggio.
In che termini?
Per esempio, c’è stato un momento in cui si è parlato di satira e ho letto moltissimi interventi in difesa della possibilità di fare satira su ogni cosa, sostenendo che togliere questa possibilità avrebbe fatto di noi stessi dei dittatori. La verità è che sono fermi da diversi anni. Non sono ancora a quel punto della riflessione, sono indietro in questo senso.
Passando dalla satira al cinema e in generale al mondo dello spettacolo, i corpi grassi vivono una sorta di confinamento, soprattutto per quanto riguarda i corpi femminili. Sembra che i corpi grassi non possano far altro che interpretare ruoli di persone grasse.
Questo è un argomento a cui tengo moltissimo, anche perché oltre ad essere un’ossessionata di parole, lo sono anche di cinema, ma mi pongo sempre il dubbio di vedere le cose attraverso il filtro delle mie convinzioni e per questo mi piace tanto confrontarmi con gli altri. Infatti, quando ho voluto affrontare l’argomento dei corpi grassi femminili nel cinema e nelle serie, ho chiesto un confronto a Marina Pierri, una persona che ritengo valida e da cui vado spontaneamente perché credo abbia la sensibilità di cogliere la complessità di qualsiasi argomento le venga sottoposto.
Tolte alcune eccezioni, i corpi grassi femminili sono profondamente stereotipati nel cinema e nelle serie, sono corpi e persone che non possono prescindere nella vita dalla forma del loro corpo. Ed è ovviamente un po’ quello che succede nel mondo reale, però la narrazione che avviene nel cinema e nelle serie è quella di persone profondamente infelici.
O meglio, profondamente infelici con pochissime relazioni sociali nel loro costante moto verso l’invisibilità, oppure persone molto comiche, caotiche, molto disordinate e incoerenti. Ed è effettivamente l’emanazione di quello che si crede dei corpi grassi all’interno del sistema patriarcale.
Per quanto riguarda i corpi grassi maschili, è vero che è differente perché la loro narrazione parte da un livello di potere diverso rispetto a quello del corpo femminile nel sistema patriarcale, ma solo in pochi casi è possibile che si creino narrazioni indipendenti dalla forma del corpo. Loro sono corpi utilizzati prevalentemente in modo comico, non sono mai protagonisti ma magari sempre l’alleato o l’amico del protagonista. La caratterizzazione della simpatia e della comicità diventa il loro punto dominante perché è compensativo della forma del loro corpo. E poi c’è la stereotipizzazione dei corpi grassi malefici, per esempio pensando alla Disney i corpi grassi che ci vengono in mente sono corpi grassi cattivi.
In uno dei tuoi post su Instagram hai richiamato la Legge Basaglia, individuando una correlazione tra corpi grassi e non conformi e corpi malati, rifacendoti ai manicomi come centri di controllo e di trattenimento della devianza. Da quanto parte lontano la storia di assoggettamento dei corpi grassi?
Ci sono varie fasi storiche relative alla rappresentazione dei corpi femminili, ho dedicato un’ampia parte del mio lavoro anche ai processi di stregoneria della prima modernità. In modi diversi nel corso della storia occidentale, il corpo grasso è stato iconico per rappresentare a livello sociale l’emanazione di potere del male gaze. Una delle prime forme di corpi grassi rappresentati è il corpo fertile che, a sua volta, deve essere assoggettato perché il potere della riproduzione è il potere che più spaventa il sistema patriarcale perché non è sotto il suo controllo.
La rappresentazione del corpo grasso come corpo fertile ci dà solo superficialmente una connotazione positiva, ma a guardar bene è un corpo che è incatenato alla rappresentazione del corpo conforme e non conforme. Nel corso del tempo, il collegamento tra corpi non conformi e assoggettamento al potere patriarcale si dirama in tante vesti che alla fine si riducono sempre alla necessità di eliminare la devianza.
I corpi devianti sono da una parte corpi ipersessualizzati e dall’altra parte corpi non conformi, quindi con malformazioni, ma anche grassi, disabili e anziani. Tutto ciò che non rientra nel panel di normalità – alla cui base prevede la compostezza del corpo femminile, il suo dovere di non attirare troppo l’attenzione – ricade nel corso del tempo sotto il potere delle istituzioni così da essere rinchiuso o eliminato. Come nel caso dell’introduzione dell’isteria come malattia per poter rinchiudere i corpi femminili all’interno di strutture psichiatriche. Dalla notte dei tempi il corpo non conforme è il corpo che deve essere eliminato oppure richiuso in modo che gli altri non possano vedere che esiste.
Sui corpi grassi il senso dominante è quello della vista, per quanto anche il senso dell’udito sia molto importante. Quando il sistema industriale della bellezza è diventato dominante allora è diventato urgente ricondurre il corpo grasso in un sistema che contrappone conformità e non conformità.