L’intervista a Carolina Benzi, Sex Coach ed educatrice sessuale, è stata un’occasione per fare chiarezza su argomenti e questioni concernenti la sfera sessuale e affettiva. Tematiche ancora stereotipate e stigmatizzate, confuse o ignorate. Dalla differenza tra sesso e genere, agli orientamenti sessuali, fino alla questione del piacere corporeo femminile, al consenso e alla centralità dell’educazione sessuale e socio-emotiva.
«Noto soprattutto nelle donne una grande resistenza nel rendersi conto che hanno diritto a comunicare in maniera esplicita il consenso e nel trovare le parole per dire “sì, mi va bene, mi piace” o “no, non mi piace, non mi va bene”». Il sesso e la sessualità sono innanzitutto pratiche di ascolto e di comunicazione.
Di cosa parliamo quando ci rivolgiamo al genere e di cosa quando invece facciamo riferimento al sesso?
Quando parliamo di sesso parliamo del sesso genitale femminile o maschile assegnato alla nascita. Il genere invece ha molto poco a che vedere con il sesso biologico, riguarda due aspetti fondamentali: il genere nel contesto del sé, nell’interiorità della persona e quindi identità di genere, e il genere nella società, nel contesto sociale.
Questi sono due aspetti che vanno costantemente a braccetto: quando si parla di genere va sempre fatto il distinguo tra ciò che la società percepisce e quello che noi percepiamo, dunque l’equilibrio che troviamo tra ciò che sentiamo di essere e le norme che sono intorno a noi e che, in quanto tali, influenzano il modo in cui noi esperiamo il genere.
Da una parte abbiamo il genere come viene codificato nella società, con le sue aspettative, norme e ruoli assegnati ai generi, solitamente binari, ma esistono culture in cui i generi non sono binari. La nostra società, attraverso pratiche discorsive e rappresentazioni, costruisce l’idea di donna e di uomo. Diventano modelli di riferimento e sembrano regole fisse, quando in realtà sono costrutti sociali: le persone vengono socializzate maschi o uomini oppure femmine o donne.
Nel contesto del sé parliamo invece di identità di genere: come mi sento io, dentro di me. A prescindere dal sesso che mi è stato assegnato alla nascita, questa è l’identità che percepisco più vicina al mio sé. Può essere uomo, donna ma anche altro, può essere una sfumatura tra questi due generi o qualcosa di completamente diverso. E anche rispetto a questo si stanno affermando varie etichette per definirle: gender fluid, gender queer ecc. Persone che hanno un’identità che varia nel tempo, che è fluida o che in generale non trova un nome specifico nelle nomenclature che vengono più spesso utilizzate.
Cos’è l’orientamento sessuale e perché etichettare i singoli comportamenti genera confusione e stigmatizzazione?
L’orientamento sessuale e l’orientamento romantico riguardano la sfera delle persone che scegliamo per intrattenere relazioni sessuali o romantiche. A seconda del nostro genere e del genere delle altre persone si potrà capire – sulla base delle nostre scelte – qual è il nostro orientamento sessuale.
Per definirlo, se vogliamo, possiamo utilizzare etichette che hanno a che fare con i diversi generi e con tutte le possibili combinazioni. Per esempio, una persona che si identifica come donna e che è attratta soltanto da uomini si definisce eterosessuale. Quando invece l’orientamento viene diretto verso qualcuno che ha il nostro stesso genere si parla di omosessualità. Nella bisessualità invece le nostre attenzioni sessuali o romantiche sono rivolte al nostro stesso genere o ad altri generi. La bisessualità, tra l’altro, è uno degli orientamenti sessuali più bistrattati perché si pensa che ricada necessariamente nel binario, quando invece il “bi” è riferito al nostro genere e a tutti gli altri generi.
L’errore che si fa spesso è quello di etichettare alcuni comportamenti sessuali – che non hanno nulla a che vedere con l’orientamento sessuale – considerandoli sbagliati o a rischio. I comportamenti sessuali possono essere i più svariati e non hanno necessariamente a che vedere con le persone che noi scegliamo come partner romantici o sessuali. È molto importante separare le due cose: le persone che scegliamo come nostri partner sessuali o romantici da un lato, e come ci piace fare sesso dall’altro.
Il sesso anale, ad esempio, è una pratica sessuale che spesso viene automaticamente inserita nella categoria omosessualità, in particolare uomini che fanno sesso con uomini, ma non è assolutamente vero: è un comportamento sessuale che può essere presente in relazioni di qualunque orientamento sessuale.
Andare ad abbinare un comportamento sessuale, spesso descritto in maniera dispregiativa, ad un orientamento sessuale fa sì che alcuni orientamenti sessuali vengano percepiti come più sporchi, più pericolosi, e quindi stigmatizzati, e questi soggetti descritti come persone che praticano sesso in maniere inappropriate o non particolarmente attente all’igiene e via discorrendo. Questo è un pregiudizio e non corrisponde al vero, anzi, spesso e volentieri le persone che si identificano con gli orientamenti sessuali più stigmatizzati sono le persone con maggior educazione sessuale, perché hanno dovuto affrontare loro stesse un percorso di consapevolezza in una società che li stigmatizza.
Per quanto riguarda le nuove generazioni quali sono le differenze che riscontri rispetto a quelle adulte?
I giovani con cui ho avuto a che fare rientrano nella generazione z e anche più giovani. La cosa che prima di tutto salta all’occhio quando si passa da una generazione all’altra è che sull’argomento sesso il tabù è molto più basso sebbene non si sia del tutto sdoganato dal punto di vista dell’educazione sessuale. È più semplice parlare di sesso, mentre con le generazioni più adulte l’argomento può diventare quasi intoccabile e può mettere molto a disagio.
D’altra parte però, le generazioni nuove sono abituate a fruire di contenuti che, molto spesso, non solo sono a sfondo sessuale o sessualizzanti, ma sono anche pornografici e, ancora ad oggi, non hanno gli strumenti per decostruire il materiale che vedono. Io non credo che il problema sia il porno, quanto il non avere gli strumenti in termini di educazione con cui leggere questi contenuti. Quello che vedo è una grande confusione: c’è un’immensa quantità di informazioni reperibili, ma non gli strumenti per poi tirare le fila e mettere in ordine quello che arriva dalla rete o dai social media.
Siamo molto più avanti sotto il punto di vista di consapevolezza di genere e orientamento sessuale nelle generazioni nuove, c’è molta più tolleranza per il mondo che definiamo queer, ma argomenti come quelli di consenso, violenza di genere, violenza sessuale e prevenzione risultano ancora complicati anche perché sono quasi del tutto sconosciuti alla maggior parte dei genitori o, se ne hanno idea, non hanno gli strumenti per spiegarli.
Rispetto al consenso, da sempre un argomento delicato e poco acquisito, le relazioni online probabilmente hanno generato ancora più confusione, soprattutto nelle nuove generazioni che fanno ancora più fatica a comprendere come ci si debba approcciare o quando fermarsi.
Si sono aggiunti degli strati di complessità al discorso sul consenso, soprattutto con l’arrivo massiccio dei social media, ma anche se restiamo sul piano fisico, quindi nelle relazioni di persona, su questo argomento, purtroppo, quasi nessuno di noi ha ricevuto un’educazione e infatti è necessario un intervento a tappetto su tutte le generazioni. Abbiamo un problema di base nel capire cos’è il consenso, come viene dato e come viene letto.
La sfera online, soprattutto nei giovani, è complicata perché è aumentato il materiale che ha a che fare con la sessualità e l’intimità, materiale che va trattato seguendo le regole del consenso esattamente come durante una relazione fisica, ma questa cosa non è semplice da far capire. Il revenge porn ad esempio, è una violazione del consenso di tipo digitale.
Uno degli aspetti più difficili da far comprendere è che il consenso non interrompe la magia del rapporto sessuale, ma al contrario, è un momento da includere e rendere parte di un rapporto sessuale di qualunque natura. È un’idea simile a quella che riguarda l’uso del preservativo: manca l’abitudine a comunicare e a parlare di questi argomenti perché non vengano visti come un ostacolo.
Parte del mio lavoro è cercare di far capire che nel sesso esistono dei feedback verbali che sono parte integrante dell’incontro sessuale e che non sono un momento di interruzione, ma un momento di ascolto. Il sesso è soprattutto comunicazione. È necessario cambiare la lettura del consenso, come si dà e come si riceve.
Dai feedback che ricevi il consenso rimane uno degli argomenti più ostici o vedi un progressivo miglioramento?
Vedo dei miglioramenti perché c’è la preoccupazione di essere sicuri di avere il consenso dell’altra persona, quello che invece risulta ancora molto complicato è capire come dare consenso o come chiederlo esplicitamente. Noto soprattutto nelle donne una grande resistenza nel rendersi conto che hanno diritto a comunicare in maniera esplicita il consenso e nel trovare le parole per dire “sì, mi va bene, mi piace” o “no, non mi piace, non mi va bene”. E questo è legato all’educazione che ci ha inculcato il “vabbè, più o meno, anche se non è proprio il massimo della vita me lo faccio andare bene lo stesso”. Ma questo è già l’innesco di una violenza. Questa è la parte più complicata, che faccio più fatica a spiegare e su cui devo lavorare moltissimo: trovare la propria voce per spiegarsi e dare il consenso.
Hai avuto modo di lavorare anche con donne che hanno vissuto dei rapporti sessuali e che soltanto dopo hanno realizzato essere una violenza?
Purtroppo sì ed è una casistica vastissima, quella delle donne che si rendono conto dopo di aver subìto una violenza. La stragrande maggioranza di questi casi sono donne che erano all’interno di rapporti stabili, perché riconoscere una violenza da parte di qualcuno che è una persona sconosciuta e ha un atteggiamento palesemente violento è più facile.
Ci sono invece moltissimi casi di violenza sessuale subìti dal partner stabile perché ci si fida di quella persona, e non si pensa più al consenso. Si realizza soltanto dopo – ma magari anche dopo anni – che quel rapporto e quelle pratiche non erano state consensuali, ma forzate con insistenza o comunque non c’era stato alcun tipo di ascolto. E questo succede soprattutto nelle persone con corpi non conformi. Persone che già di loro subiscono molta stigmatizzazione rispetto al loro corpo e quindi vivono situazioni di disembodiment – distacco dal proprio corpo – una sorta di anestetizzazione, come se non sentissero più il contatto con il loro corpo.
Qual è il lavoro che va fatto in questi casi?
Soprattutto se è presente un trauma, si deve lavorare con una figura esperta in psico-sessuologia. Una persona che non solo abbia una preparazione in sessuologia come la mia, ma anche la capacità di intervenire come terapeuta. Poi però, è fondamentale rieducarsi e imparare a rivedere il proprio approccio alla sessualità da un punto di vista educativo. Non solo quindi elaborazione del trauma, ma anche ripresa e acquisizione degli strumenti che ci rendono capaci di autodeterminarci e avere ben chiara la questione del consenso, di avere una buona capacità di analisi delle relazioni per capire se ci troviamo in una relazione con disparità di potere. Tutto questo ha a che fare con l’educazione sessuale e socio-emotiva.
Il piacere femminile, storicamente subordinato a quello maschile, ha vissuto nell’ombra dell’archetipo della maternità: il sesso e la sessualità femminili hanno senso se finalizzati alla riproduzione. Invece è importante parlare di piacere femminile corporeo e fisico, senza legarlo al piano mentale.
Sì, dal punto di vista del piacere c’è una grandissima disparità non solo nei rapporti, ma anche nella conoscenza di come funziona il piacere di un corpo femminile. Esiste ancora il grande mito del vuoto e del pene, del pene che riempie il vuoto, ma in realtà i genitali maschili e femminili sono molto simili. La differenza sta nell’apparato riproduttivo, mentre sono molto più simili di quanto si pensi per quanto riguarda il piacere, poiché pene e clitoride sono composti dalle stesse parti, solo organizzate in maniera differente.
Se analizziamo un clitoride ci rendiamo conto che è formato dalle stesse parti di cui è formato un pene: il glande, il prepuzio, i corpi cavernosi, la zona dei bulbi ecc. Anche nel funzionamento esso è simile al funzionamento del pene, ad esempio, anch’esso si inturgidisce. Per altro, il clitoride ha molte più terminazioni nervose del pene ed è proprio da qui che parte il piacere femminile.
Con la scusa che è meno evidente e meno grande, ci si è ‘inventati’ che il piacere femminile sia più difficile, ma in realtà è che non gli abbiamo mai dedicato abbastanza tempo. Basti pensare che questa descrizione e conoscenza del clitoride è recentissima, ha circa vent’anni. Non ci si era mai preoccupati di capire come funzionasse il clitoride, quando invece proprio dal punto di vista strettamente fisico abbiamo un organo preposto al piacere, e che è il centro del piacere dal punto di vista genitale.
Quando si sente parlare di orgasmi vaginali, orgasmi interni ed esterni, in realtà è importante sapere che tutto il piacere femminile è clitorideo. La differenza sostanziale la fa il tipo di accesso alla stimolazione del clitoride, che può avvenire anche dall’interno, ma non per la maggior parte delle donne. Dal cosiddetto orgasm gap, il gap dell’orgasmo tra uomini e donne, si deduce che il problema del mancato raggiungimento dell’orgasmo da parte delle donne che fanno sesso con uomini è dovuto alla mancata conoscenza da parte degli uomini del corpo femminile. Se analizziamo i dati che riguardano le coppie omosessuali, dunque donna-donna, il gap magicamente svanisce quasi del tutto.
Tra i tuoi clienti ci sono più donne o uomini?
Ho un’incredibile parità di genere. Il tipo di problematiche poi si somigliano: le problematiche maschili si somigliano tra loro, così come quelle femminili. La vera differenza sta nell’atteggiamento: quando mi trovo di fronte a uomini spesso le prime volte che parlo con loro li trovo molto in difficoltà perché non sono abituati a parlare dei loro problemi con qualcuno, soprattutto quelli che riguardano la sfera sessuale. Fanno fatica a spiegarsi. La maggior parte delle donne invece si spiega molto di più. Ovviamente anche questo è legato agli stereotipi di cui siamo vittime: un uomo non può avere problemi o non deve parlarne, figuriamoci poi se hanno a che fare con la virilità.
Quali sono i tabù di cui è più difficile liberarsi?
Stando alla mia esperienza, generalmente sono quelli che abbiamo assorbito all’interno delle mura familiari, quindi tabù impartiti a livello educativo. In questi casi bisogna fare un grande lavoro di messa in discussione per liberarsene.
Uno dei tabù più frequenti è quello della nudità corporea nel caso di famiglie in cui la nudità non viene minimamente tollerata. Le persone che sono molto a disagio con il loro corpo nudo ovviamente lo sono anche durante i rapporti sessuali. Per di più siamo abituati a vedere la nudità in maniera molto stereotipata, è raro vedere corpi nudi di persone che non siano estremamente canonizzate. È un tabù anche molto di ciò che deriva da credenze di tipo religioso, le religioni, infatti, molto spesso hanno da dire alle persone su come vivere la sessualità.
Domanda retorica: quanto è importante l’educazione sessuale e sentimentale ai fini della prevenzione della violenza di genere?
L’educazione è tutto. Possiamo fare tutto quello che vogliamo, dalla divulgazione alle campagne marketing, ma nulla sarà mai incisivo come un cambio nell’educazione formale che dovrebbe essere data alle persone riguardo alla prevenzione della violenza di genere e all’educazione sessuale e affettiva.
Non abbiamo ricevuto in alcun modo un’educazione da questo punto di vista. I modelli relazionali li prendiamo al massimo dai nostri genitori o da amici, amiche e parenti. Non abbiamo un’idea delle possibilità e di come funzionino le dinamiche relazionali. A volte non pensiamo nemmeno di poter uscire da determinati schemi perché non ne abbiamo coscienza, non li vediamo.
Se vogliamo uscire dalla situazione gravissima nella quale ci ritroviamo in tema di violenza di genere dobbiamo necessariamente introdurre l’educazione socio-emotiva e di genere. Finché i nati maschi verranno educati con le norme di genere che conosciamo, le nate femmine, socializzate femmine, verranno educate nei modi che conosciamo, le persone che non si identificano in questi generi continueranno a essere ignorate, se non stigmatizzate e mostrificate, e non ci saranno persone competenti a spiegare come funziona il consenso o il potere all’interno delle relazioni, non possiamo certo aspettarci un cambio sistemico. A un problema sistemico deve corrispondere un’azione sistemica dello Stato, ma purtroppo il sesso e la sessualità in Italia sono osteggiate per questioni politiche.
La maggior parte delle persone non conosce queste tematiche e questi problemi e quando lo facciamo notare, la risposta solitamente è “sei esagerata”. Spesso mi viene chiesto come comportarsi in questo tipo di confronto e quello che mi sento di dire è che prima di tutto è necessario sincerarsi che la persona che si ha di fronte voglia effettivamente ascoltarci. Se non c’è la volontà di dialogo questi scontri diventano violenti, perché ci si sta scontrando con la paura e con il tabù. Non dobbiamo sentirci sulle spalle tutto il peso dell’educazione, è un lavoro pesantissimo, non pensato per essere svolto in battaglie singole.
Fotografia in apertura di Federico Masini