Gloria ha l’endometriosi, ma l’ha scoperto soltanto un anno fa. Il dolore acuto e inspiegabile durante le mestruazioni la accompagna dall’adolescenza: un dolore normalizzato da chi sosteneva che fosse naturale stare male in quei giorni. Parte della sua vita è stata scandita da visite e operazioni, finché un anno fa è stata colpita da un’embolia polmonare massiva con lesioni al cuore in seguito all’assunzione di una pillola a dosaggio ormonale. Gloria ha scelto di parlare della sua condizione per trovare, finalmente, «persone affini», perché sa che se le avesse incontrate prima, se avesse conosciuto degli specialisti in grado di comunicarle i rischi ai quali stava andando incontro, forse quel mese in terapia intensiva, attaccata all’ossigeno e immobilizzata dai dolori, avrebbe potuto evitarlo.
Il dolore, per lei, è stato – ed è ancora – un compagno fedele. Negli anni la sofferenza si è nutrita di incomprensione: «non hai nulla, tutto passa» è la frase che ha ascoltato più spesso, non soltanto al lavoro ma anche da parte degli specialisti che la sottoponevano a decine di visite. Mentre tirava pugni contro il muro rompendosi le nocche, al dolore fisico cronico si è aggiunto per lungo tempo il vuoto provocato dalla consapevolezza di non essere riconosciuta. La sensazione di essere un corpo malato ogni volta che incontrava il suo riflesso nello specchio, quella di essere un corpo da sistemare durante l’ennesima visita inconcludente.
L’esperienza di Gloria è unica e irripetibile per definizione, ma si intreccia a quella di altre donne le quali si sono scontrate – e continuano a farlo – con la disinformazione che circonda le malattie uterine, il ciclo mestruale, la pillola a dosaggio ormonale e i suoi effetti collaterali. È una storia che in fondo dice molto della società in cui viviamo, secondo la quale le donne sembrano essere naturalmente e tristemente votate al dolore.
L’iter per la diagnosi di endometriosi e l’importanza di nominare la sofferenza
Il percorso diagnostico di Gloria è cominciato all’età di 17 anni, quando dopo un controllo ginecologico ha scoperto di avere una cisti ovarica. All’operazione d’urgenza in laparoscopia è seguita una dura convalescenza e poi la diagnosi di varicocele pelvico, il momento in cui «inizia la sua condanna».
Mentre studiava e nel frattempo lavorava per mantenersi a Firenze, le mestruazioni sono diventate la principale causa della sua sofferenza: «provavo sempre più dolore, tanto che un ginecologo mi ha prescritto la prima pillola a causa della quale ho perso quindici chili in due mesi. È stata una mia amica nutrizionista a consigliarmi di farmi seguire, perché se avessi perso altro peso avrei corso il rischio di entrare nella fascia dell’anoressia. Nonostante la perdita di peso veloce e improvvisa, l’emicrania e altri problemi connessi all’assunzione della prima pillola nessuno mi ha mai prescritto gli esami del sangue, soprattutto quelli trombofilici. A un certo punto pensavo anche di avere una malattia autoimmune data la mia storia familiare. La mia salute mentale è stata messa a dura prova in quel periodo e dal momento in cui ho smesso la pillola le mestruazioni non si sono fermate per sei mesi: erano irregolari, abbondanti».
Gloria Pallotta
A vent’anni, con quindici chili persi nel giro di due mesi senza che i medici riuscissero a comprenderne la ragione, Gloria si è ritrovata a vivere con disagio il suo corpo, ha iniziato a vederlo come un corpo malato. «Le persone continuavano a chiedermi se stessi bene, pensavano che avessi un disturbo del comportamento alimentare. Il mio corpo cambiava e mi veniva fatto notare. Era un corpo in cui non mi riconoscevo e che mi faceva soffrire. Non è possibile capire il dolore che ho provato e provo costantemente».
Trovare una ragione al proprio dolore, che sia fisico o emotivo, certamente non può lenirlo ma la possibilità di sentirsi comprese attraverso il riconoscimento del proprio malessere permette a ciò che sembra inspiegabile di acquisire senso. E dare senso alle cose è ciò che ci contraddistingue in quanto esseri umani. Gloria conviveva con un dolore che apparentemente non trovava spiegazione, un dolore non visto, non percepito: per la sua datrice di lavoro i giorni di malattia chiesti una volta al mese erano indice di pigrizia, gli specialisti continuavano a non confermare i suoi dubbi. «Avevo delle emorragie, passavo anche venti minuti sdraiata sul pavimento. Una volta al lavoro ho chiamato l’ambulanza, mentre la mia datrice mi ripeteva che doveva trattarsi di un problema psicosomatico. Sono uscita dal negozio in cui lavoravo, da sola, e mi sono fermata in Piazza Duomo, vicino alla Croce Verde. Le quattro ginecologhe che mi hanno visitata in ospedale continuavano a dirmi che era tutto normale, ma io avevo soltanto bisogno che qualcuno mi spiegasse perché stavo così male. Era iniziata la ricerca di un malessere che sapevo di avere. Soltanto l’anno scorso, a maggio, ho incontrato una ginecologa che mi ha diagnosticato l’endometriosi, l’adenomiosi e il varicocele pelvico».
La diagnosi ha rappresentato un punto di svolta, finalmente quel male fisico sottovalutato e normalizzato aveva assunto un nome, ma l’ostacolo più grande si è presentato proprio allora. «Mi è stata prescritta una nuova pillola ad alto dosaggio ormonale che mi ha bloccato le mestruazioni per mesi. Non c’è una cura per l’endometriosi, stoppando il sanguinamento le si concede una tregua. Dopo quattro mesi, mentre viaggiavo su un treno, ho avuto un’embolia polmonare massiva che ha lesionato il ventricolo destro del cuore. Sono svenuta in treno e mi sono contusa la spalla, l’anca, il costato. Mi hanno svegliata e fatta scendere in una stazione, tra l’altro c’è una denuncia nei confronti del controllore per mancato soccorso. Ho passato un mese in terapia intensiva sotto ossigeno e poi la convalescenza chiusa in casa. Il cuore si è ripreso mentre i polmoni sono pieni di trombi, tanto che sono sotto anticoagulante a distanza di un anno. Mi ha sconvolto la frase di un medico rivolta alla sua specializzanda: “è un caso normalissimo, se prende la pillola ci sta che abbia avuto un infarto”, ma a me nessuno lo aveva mai detto».
È lì che Gloria ha deciso che era arrivato il momento di parlare, di condividere la sua storia raccogliendone tante altre simili. Racconti di donne che non si sono sentite considerate in quanto persone, ma come un corpo da aggiustare. Donne convinte che il dolore provato non fosse necessario spiegarlo, non riconosciute nella sofferenza nonostante il loro corpo fosse oggetto di attenzione morbosa. «La ripresa è stata dura e ho scoperto che non c’erano altre cure per l’endometriosi se non la pillola anticoncezionale*. Sono finita nel Centro Endometriosi di Firenze e ho messo la spirale che ha un dosaggio progestinico locale, l’altra scelta possibile era la menopausa preventiva ma c’erano tante controindicazioni e ho preferito evitare. Con la terapia anticoagulante continuo ad avere delle forti emorragie: ho le mestruazioni da quaranta giorni. Dire che soffro non rende l’idea, una persona che non lo prova non può capire. A volte sono talmente satura che mi strapperei tutto via, letteralmente. Sono i momenti in cui subentra la rabbia e ti chiedi chi è che ascolta il tuo corpo se non te. Ad oggi mi sta aiutando la terapia, dove come prima cosa ho compreso di dover dire che ho una malattia. Devo riconoscerla se voglio normalizzarla».
Normalizzare i corpi attraverso l’arte
Il corpo, per Gloria, è sempre stato oggetto di riflessione. Da piccola soffriva di dismorfofobia e non è stato facile accettare i cambiamenti che la sua condizione le ha imposto: quando ha perso peso la debolezza rendeva difficile gestire le attività quotidiane, gli impegni, il lavoro. Riprendere peso durante la terapia anticoagulante, poi, ha generato commenti inappropriati da parte di chi le chiede con curiosità se non sia incinta, scambiando un addome infiammato per una gravidanza. Nasce da qui la necessità di affrontare il rapporto con il corpo, infinitamente amato e odiato, attraverso l’arte. Dall’esperienza personale e dall’attrazione esercitata dai corpi, in particolare quelli femminili.
dal progetto artistico Absurde
Nel 2017 ha visto la luce Absurde, un progetto artistico che si pone l’obiettivo di normalizzare i corpi e le loro differenze all’interno di una società piena di stereotipi. «Ho deciso, insieme a una mia amica fotografa, di rappresentare alcune ragazze che hanno scelto di condividere disagi e dolori. Sono persone che non conoscevamo, hanno accettato di spogliarsi e di essere fotografate. Quelle foto poi sono diventate quadri, io le ho dipinte».
L’assurdità che si vuole smascherare è quella del canone estetico, onnipresente nella dimensione artistica e pittorica. Questo progetto non è altro che «un veicolo per dare voce alle persone, un’esigenza personale». Gloria, in arte @Kororia, definisce i suoi dipinti politici e la sua arte femminista intersezionale, anche se «non mi piace neanche dover specificare la parola intersezionale perché penso che il corpo lo dica da sé. Non puoi essere femminista se non ti interessano i diritti di tutti e tutte». Esponendo la nudità ha incontrato la censura da parte di chi riteneva che fosse volgare, scoprendo che è la figura stessa della donna nell’arte a rappresentare un tabù.
«All’inizio dipingevo corpi. Esponendoli mi sono resa conto che avevano il potere di scioccare le persone, perché in fondo gli stessi stereotipi che ci sono nella società li ritroviamo nell’arte. Corpi perfetti, scene canoniche, etero, bianche, conformi: questi gli scenari a cui è abituato il nostro sguardo. I miei quadri hanno voglia di rompere l’arte, per quanto sia già stata rotta dal Novecento in poi, perché ancora oggi esistono così tanti tabù attorno al corpo femminile. Esporli per me vuol dire normalizzare.
dal progetto artistico Absurde
Nelle rappresentazioni artistiche le donne sono fini, eleganti e amano la loro nudità: non si vedono donne a disagio con il loro corpo o con corpi non conformi, perché qualora siano poco conformi hanno comunque conformità nell’estetica. La volgarità è il risultato di una società patriarcale, che io ho scoperto nell’arte, nella misura in cui se sei una donna e dipingi donne nude con corpi non canonici vieni criticata e ostacolata. Si pensa che l’arte sia libertà ma siamo di fronte a un prodotto culturale fortemente influenzato dal contesto di riferimento e rompere gli schemi non è facile. Che poi vuol dire semplicemente aderire alla realtà ed esporla.
Tante volte vengo vista come una persona che istiga, ma quella di esporre i miei ideali è una necessità che si riflette nella mia arte. Sono profondamente attratta dai corpi, non c’è niente di più bello della differenza che ci appartiene».
*Nell’articolo riportiamo l’esperienza personale di Gloria. L’endometriosi è una patologia complessa e per la quale non esiste una cura definitiva. Il trattamento di questa patologia non prevede in ogni caso la terapia ormonale, che non tutte le persone possono assumere.
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