«Non dirò cose del tipo “bisogna essere grati alla vita e non lasciarsi abbattere” perché non sono da me. Cerco solo di credere in me stessa per raggiungere un’accettazione e una consapevolezza sempre maggiori». Martina ha parlato del corpo che «l’ha tradita», ha raccontato la sua malattia, la fibromialgia, e di quanto questa abbia scritto la sua vita.
«Ci ho messo un bel po’ a trovare il coraggio di parlarne. Racconto la mia esperienza personale, con intento anche divulgativo, ma ognuno ha la propria. Da quando ne parlo mi sento un po’ meglio. Ho conosciuto tantissime persone come me, nella mia stessa situazione o che stanno anche peggio. Fare community, da un anno a questa parte, si sta rivelando la cosa migliore che potessi fare rispetto a questo ambito».
Martina Sparacio (@mottifibro) ci ha spiegato che la fibromialgia, la malattia dei cento sintomi, è una «malattia che colpisce circa 2milioni di persone in Italia e quindi non può essere classificata come malattia rara. Si sta discutendo se possa essere considerata una malattia autoimmune o meno, di recente sono usciti articoli che farebbero pensare all’origine autoimmune, mentre finora si è sempre parlato di natura reumatica perché interessa l’apparato muscolo scheletrico».
Quali sono le possibili cure? Immagino che vengano “cucite” addosso e adattate alle singole persone.
Nel caso di pazienti fibromialgici si parla di comorbidità. Io sono partita con la cefalea, la fibromialgia è arrivata dopo e più tardi ancora un’altra patologia autoimmune, la sacroileite o spondiloartrite, che è una malattia del bacino comune in tantissimi pazienti con fibromialgia.
Cure vere e proprie, per ora, non ce ne sono, si usano farmaci antidepressivi in dosi molto basse come miorilassanti muscolari. Adesso sono arrivata alla terapia del dolore con la cannabis. Per stare meglio si dovrebbe fare un mix tra cure farmacologiche e attività fisica leggera, ma è molto difficile. Quindi sì, esatto, la terapia viene cucita sul paziente perché ognuno ha le proprie caratteristiche e perché non esiste un farmaco che vada bene universalmente. Si procede per tentativi e alla fine viene usato il farmaco che la persona tollera meglio e che ha maggiori effetti positivi, di solito si tratta comunque di un mix di farmaci.
Adesso sto provando anche una dieta, ma i medici solitamente sono un po’ restii nel parlare di diete, sono molto più propensi a prescrivere farmaci o a consigliare fisioterapia e ginnastica dolce.
Quando ti viene diagnosticata la fibromialgia?
Avevo 15 anni, ma arrivavo da una situazione di cefalea muscolo-tensiva cronica. Ho iniziato a 9 anni a soffrire di mal di testa, il dolore cronico nella mia vita c’è da sempre, è comparso durante l’infanzia. Oltre a questo, ho avuto anche alcuni infortuni fisici che interessavano la zona cervicale dorsale. A 8 anni e mezzo ho rotto quattro vertebre dorsali, qualsiasi ortopedico fisiatra sostiene che non c’è alcuna correlazione con la fibromialgia ma un dubbio in realtà ce l’ho. Sembrava che mi fossi ripresa benissimo, poi crescendo è arrivato il mal di testa e la fibromialgia.
Ho avuto due infortuni, sempre in zona cervicale dorsale, in palestra durante gli anni del liceo e poi sono rimasta coinvolta in un incidente stradale che mi ha causato un trauma cranico, una spalla sublussata e varie cicatrici sul corpo. È stato un trauma sia fisico che psicologico, ho perso un anno di scuola, il che per me era impensabile. Il liceo è stato molto pesante per me, ma non ho voluto abbandonarlo, non volevo fare una scuola più facile.
Ci tengo a dire che la mia situazione, comunque, deriva anche da traumi fisici, è importante spiegare cosa sia venuto prima della diagnosi di fibromialgia, perché c’è anche chi sviluppa la patologia non avendo mai avuto alcun trauma fisico.
L’avvisaglia della fibromialgia si è manifestata dopo aver tenuto i piedi in un torrente freddo in montagna, nel Trentino. Ho trascorso il viaggio di ritorno verso casa con dolori dalla testa ai piedi e non mi era mai successa una cosa simile. Ero piena di dolori, veramente dalla testa ai piedi, dalla punta del capello alla punta degli alluci. La sacroileite, invece, mi è stata diagnosticata a 21 anni.
Come hai reagito alla diagnosi?
Ero piuttosto piccola, avevo appunto 15 anni ed erano i due anni scolastici più brutti della mia vita, quando mi hanno diagnosticato la fibromialgia. Mia madre continuava a portarmi per ospedali, così siamo riuscite ad avere la diagnosi che forse in quel momento rifiutavo. Erano già anni che giravo per ospedali e incontravo neurologi per la cefalea, ero già piena, rasa.
Al momento della diagnosi ero piuttosto basita, dopo di che ovviamente ho iniziato a documentarmi e lì forse mi sono sbloccata. Ho iniziato a piangerci sopra, a leggere di questa malattia, a capire che era una cosa che avrei avuto per tutta la vita e rendersene conto a 15 anni è un po’ alienante.
Rifiutavo il mio corpo prima di tutto. Una cosa che mi è stata detta – ed è verissima – è che il mio corpo mi ha tradita. Sento da sempre che il mio corpo mi tradisce, che non posso fidarmi di lui. Cede quando io non voglio cedere, cede quando io non posso cedere. Al liceo, ad esempio, dovevo mantenere degli standard ma il mio corpo a un certo punto andava in blackout, mi sentivo sempre indietro, è una vita che mi sento indietro rispetto agli altri. Poi in realtà ho fatto anche l’università e ora lavoro, ma grazie alla forza di volontà non perché me lo abbia concesso il corpo, anzi.
Quale percezione hai del tuo corpo? È cambiato nel corso del tempo in relazione prima alla fibromialgia e poi alla terapia?
Ho sempre avuto un rapporto molto difficile con il mio corpo, anche proprio rispetto al “non piacersi”, ma questo è un altro discorso. Quando sei ragazzina il confronto con le altre persone è inevitabile: più che estetico è stato proprio una mancata accettazione di ciò che mi stava succedendo. Dopo le vertebre, ad esempio, mi hanno messo il tutore dicendomi che per mesi non avrei potuto correre e pensavo solo a quando avrei potuto correre di nuovo e nuotare di nuovo.
Poi è arrivato il mal di testa, lo sviluppo, l’adolescenza e le scuole medie. Insomma, crescere, cambiare ma con un mal di testa sempre più forte. A 15 anni l’incidente, la fibromialgia e la scuola superiore, che ti forgia per il futuro: mi sono sentita totalmente tradita dal mio corpo, sempre di più. È stata un’escalation fino alla diagnosi di sacroileite. È sempre stato un peggioramento: il mal di testa che aumentava, insieme agli altri dolori. Ho scoperto muscoli che non sapevo di avere con la fibromialgia perché iniziano a farti male parti del corpo che tu hai sempre ignorato, il retro del ginocchio ad esempio.
Si sono susseguite molte fasi, come quella in cui ho capito che il mal di schiena non mi avrebbe più fatto suonare il pianoforte, quindi ho smesso di suonarlo, ma ho formato una band, perché volevo cantare e suonare. Mi sono iscritta a canto, ho fatto un duo acustico, ma alla fine poi le cose escono sempre fuori.
Per un anno sono stata iscritta anche alla Scuola di Fumetto di Milano, perché dopo l’università volevo dar sfogo al mio lato più artistico, ho sempre disegnato, ma durante il mio venticinquesimo compleanno sono finita in ospedale per una contrattura muscolare e quello è stato il momento in cui ho realizzato che non avrei mai potuto disegnare per dodici ore al giorno, che non sarebbe stato il mio lavoro. Ancora, a 25 anni, ero lì a credere di potermi fidare del mio corpo, ti illudi di potercela fare. Di poter essere più forte del tuo corpo, ma in realtà tu sei il tuo corpo.
Nell’ultimo anno, ho letto spesso su Instagram cose che ricordano il “io non sono la mia malattia”. Non condivido affatto: io sono il mio mal di testa perché ce l’ho da una vita, io sono la fibromialgia. Tutto quello che faccio lo faccio perché ho queste malattie, altrimenti sarebbe andato tutto quanto in un modo diverso. È talmente dentro di me che è più me di me stessa. Sento molto più mie le malattie che ho, che la coscienza mentale dell’essere presente in me stessa.
Adesso sono più matura di quando avevo 17 anni e mi trascuravo, ora mi prendo cura di me, eppure l’accettazione del mio corpo come traditore, come qualcosa da dover accudire, la vedo molto lontana.
Quindi nemmeno le cure che stai seguendo ti hanno aiutata in questo senso?
No, faccio la stessa terapia da 7 anni, in aggiunta quest’anno – siccome lavoro otto ore al giorno e ho bisogno di sentire meno dolore nel quotidiano e di essere più sveglia – con il mio reumatologo si è arrivati alla terapia del dolore. Non mi sta dando i frutti che vorrei, nell’ultimo mese ho iniziato anche una dieta, ho deciso di andare da una nutrizionista che conosce la fibromialgia e quindi di fare una dieta antinfiammatoria.
Sto un po’ meglio a livello gastrointestinale, che per me è già una super conquista, ma sto leggermente meglio, non è mai quel tanto che mi fa dire “continuo questo terapia a vita”. Mi sto privando di tutti i cibi che mi piacciono, se devo solo stare un pochino meglio a livello gastrointestinale e tutto il resto rimane come è, il gioco non vale la candela.
Anche nel rapporto con le terapie è dura, perché ne ho cambiate tantissime, non tanto per la fibromialgia, quanto per la cefalea. Per la fibromialgia ho cambiato solo due reumatologi e il secondo è veramente bravo, sono in cura da lui da sette-otto anni e mi fido. Però le terapie si tentano ed è abbastanza stressante e demotivante quando non vedi un miglioramento.
Hai fatto dei percorsi di psicoterapia?
Sì, ho fatto psicoterapia per via dell’ansia per 5 anni più o meno. I miei anni peggiori a livello di traumi li ho vissuti durante il liceo. Ho iniziato a soffrire d’ansia, non di attacchi di panico, ma di ansia sì.
È stato molto molto utile, ne ho parlato anche sul blog e sul profilo. È venuto fuori tutto lì dentro: le malattie, la scoperta del corpo traditore, l’ansia derivata, il volercela fare a tutti i costi, l’aver perso un anno di liceo. Tutte queste cose mi hanno fatto sviluppare un senso di ansia generalizzato, che coinvolgeva tutto, anche le relazioni, come la paura di essere lasciata dagli amici o nei rapporti sentimentali.
La psicoterapia è fondamentale, soprattutto per chi ha patologie croniche che cambiano la vita. Ho imparato ad avere più consapevolezza di me, magari tra qualche anno ne sentirò di nuovo l’esigenza e ci tornerò.
Martina Sparacio
Quali sono i limiti più importanti che riscontri nella tua quotidianità?
Riscontro difficoltà nel fare sport, ad esempio, ma anche in cose più quotidiane come lavare i piatti, è una cosa che devi rimandare perché senti dolori alle mani. Mi stanco subito: la stanchezza cronica è uno dei sintomi più invalidanti.
Non ultimo la vita sessuale, che non è semplice, e a questo proposito vorrei indagare anche la vulvodinia, perché comunque ho dolori durante il rapporto e dopo i rapporti, ma li ho sempre ricondotti alla fibromialgia. Ho un compagno che è un angelo e mi sta molto vicino, ma l’approccio iniziale con una persona non è sempre facile perché ad un certo punto arrivi a dire ho dolore, a spiegare perché stai prendendo dei farmaci durante una cena. Per il malato cronico e fibromialgico è complicato anche il rapporto sentimentale e sessuale. Si prova paura nello svelarsi e mostrarsi.
Alcune persone ad esempio non riescono a lavorare per otto ore al giorno, altre non si sono laureate, altre ancora non riescono a fare nulla e si chiudono in casa. Io preferisco sfinirmi e pagarla il giorno dopo, non ho ancora imparato a non farlo, ma chi è molto introverso e si butta giù si chiude in casa e non ha più vita sociale, non riesce a lavorare, si sente un peso per i genitori se vive sulle loro spalle.
Se dovessi descrivere soltanto il dolore, come lo descriveresti?
Senza riferimenti all’intensità, direi estenuante. Ci sono fibromialgici che non provano dolore tutti i giorni, nel mio caso – a parte la cefalea che mi distrugge 24 ore su 24 – sento dolore in varie parti del corpo tutti i giorni. Non ho tregua e c’è chi sta peggio ancora e non riesce ad alzarsi dal letto.
Direi estenuante perché è un dolore cronico, è un po’ come la goccia cinese sulla fronte, è una costante, ti stringe come una morsa. Come la canzone My body is a cage, è così, il corpo diventa proprio la tua gabbia. Il confine tra me e il mondo è la mia pelle, esattamente una gabbia cucita su misura che mi stringe e che si rimpicciolisce sempre di più. Indipendentemente dall’intensità del dolore.
Prima accennavi al rapporto con gli altri, rifacendoti soprattutto alla vita sentimentale e sessuale, hai fatto difficoltà a raccontare la tua malattia e ad approcciarti agli altri? Ne hai parlato subito o hai preferito tenerla per te?
Ho deciso di parlarne apertamente solo da un anno a questa parte. Alcuni amici lo sapevano, ma non nei dettagli, perché mi sentivo un peso anche nel raccontare, quindi quello che ricordano è il mio costante mal di testa. Durante l’età adolescenziale, quando stava accadendo tutto, non ne ho parlato affatto, anzi la nascondevo anche ai professori perché odiavo fare e sentirmi la vittima, volevo essere trattata come gli altri.
Ora ho 28 anni e mi sono sbloccata, ma fino a qualche anno fa lo sapeva soltanto il mio fidanzato, probabilmente non lo sapevano bene neanche mio padre e mio fratello, perché quella che mi ha sempre accompagnata ovunque è mia madre. In casa non è che si parlasse bene di come stessi.
Intorno a te generalmente è difficile trovare persone che stiano male o che capiscano veramente il dolore cronico. Nell’ultimo anno mi sono sentita molto più libera perché mi sono resa conto di non essere sola.
Sentirsi dire “ma alla fine esci, fai quello che devi fare, non buttarti giù” che effetti ha avuto su di te?
Negativi! Per esempio, di recente ho fatto un post sull’allodinia (una risposta troppo dolorosa ad uno stimolo che non è di per sé doloroso) e mi è venuto in mente quando mio padre mi dava un buffetto sulla spalla o sulla guancia tanti anni fa e io lamentavo fastidio. Lui mi guardava con una faccia talmente eloquente che lasciava trasparire quello che pensava: “è impossibile che ti abbia fatto male” e questo mi sminuiva tantissimo.
Come dicevo, odio stare a letto, rimango a letto quando proprio non riesco ad alzarmi, piuttosto mi trascino fuori. È stato così anche all’università, arrivavo stremata ma dovevo fare quello che mi ero prefissata. È proprio una forma mentis, non so se sia quella giusta, anzi credo di no perché bisogna imparare a fermarsi. In ogni caso, questo atteggiamento portava gli altri a non credere al mio dolore.
Molto spesso non vieni creduto fino in fondo e anche per questo non ne parlavo. Tutti mi hanno sempre detto “sembri il ritratto della salute”, in più ero molto giovane per essere malata. Quindi mi sono sempre detta “lo maschero finché riesco” sperando sempre che il mio corpo non mi tradisse di fronte a qualcuno, magari con una crisi di dolore, di stanchezza e di tremore.
Sembra una malattia “fantasma”, da portarsi dietro costantemente ma come qualcosa di non visibile. Credo sia spossante da spiegare perché le persone tendono a delegittimare e a non riconoscere ciò che non vedono e non capiscono.
Esatto, viene chiamata proprio la malattia invisibile. Devi arrivare a zoppicare, ad usare il bastone, a fermarti stremata alla fine delle scale, ma io, e molti come me, odio farmi vedere così, debole, stanca o poco lucida da non riuscire a seguire il filo del discorso, quindi piuttosto mi sforzo e lo faccio.
Tra l’altro, ancora oggi, ci sono neurologi e reumatologi che dicono che la fibromialgia sia una malattia psicosomatica e quindi ti dicono che ti devi solo rilassare. È una cosa che trovo agghiacciante, soprattutto per le evidenze e i numeri che ci sono.
Hai aperto un blog anche per raccontare la fibromialgia, come ti fa sentire parlarne e quanto è importante parlare di una malattia socialmente poco riconosciuta?
Sì, ho aperto un blog per parlarne ma è anche quello un lavoro e richiede molto più tempo di quanto riesca a dedicargli, quindi sto curando un po’ di più il profilo Instagram con dei testi più brevi e con le storie. L’urgenza è stata quella di divulgare anche per fare rete: più si è a parlarne più si producono contenuti che possono far conoscere meglio questa malattia. Con altre ragazze ci stiamo muovendo anche rispetto al famosissimo disegno di legge, fermo in Senato, per il riconoscimento della fibromialgia come malattia invalidante.
Oltre alla divulgazione, la mia urgenza è sempre stata quella di condividere, il bisogno di confrontarmi con qualcun altro là fuori che potesse comprendere quello che provo. Il feedback è molto positivo. Siamo in tante, soprattutto donne, ma anche uomini. Ci confrontiamo sulla base delle nostre esperienze e sicuramente ci sentiamo più capite e capiti. Abbiamo creato anche un gruppo su Facebook, che è un gruppo aiuto, nel quale abbiamo condiviso, tra le altre cose, un file Excel con i nomi degli specialisti, ovviamente testati da noi, divisi per regioni, così chi non sa proprio a chi rivolgersi ha dei punti di riferimento.
Mi sento meglio da quando ne parlo, ho normalizzato il dolore cronico. Tantissime persone soffrono di dolore cronico, tantissime, perché è causato da diverse patologie. Tantissime persone con dolore cronico vivono, lavorano, hanno figli, non li hanno, viaggiano. Non è una cosa da nascondere.