Durante il nostro reportage all’Hospice Casa delle Farfalle abbiamo incontrato Luca Di Sarra, coordinatore infermieristico della struttura, con il quale ci siamo soffermati sui principi etici e sui diversi modelli assistenziali che guidano gli operatori e le operatrici nell’esercizio della loro professione. «La nostra direzione è la stessa seguita dal governo centrale con il DM 77/2022, previsto dal PNRR nella missione 6 Salute. Nel piano attuale di Ripresa e Resilienza anche l’hospice è stato inserito in un modello di stratificazione, l’obiettivo – che anche noi stiamo cercando di raggiungere attraverso la cura domiciliare – è quello di riuscire a prenderci cura delle persone ovunque.
Seguiamo un modello assistenziale di tipo deduttivo, dunque è la teoria a guidare la pratica e non il contrario. Tra gli altri facciamo riferimento al modello assistenziale Person Centred Care con una particolare attenzione alla famiglia che per noi rappresenta una costante nella vita della persona mentre noi siamo solo persone transitorie, e il Chronic Care Model, che integra, tra le altre cose, l’attività delle associazioni di volontariato al lavoro svolto dai clinici. Una parte in cui io credo molto, un valore aggiunto nella sanità in generale. Nella gestione dei problemi quotidiani, poi, manteniamo un occhio attento a ciò che ci suggerisce la letteratura: esistono studi fantastici, ad esempio, su aromaterapia e massaggio – sembra che coinvolgere il caregiver in questa pratica possa ridurre il dolore – inoltre ci piacerebbe avviare un progetto di Pet Therapy».
Hospice Casa delle Farfalle. «Il tempo di relazione è tempo di cura»
L’Hospice Casa delle Farfalle si distingue nel panorama nazionale a partire dal modo in cui si costituisce il personale. Una parte è dipendente della Asl e una parte è in convenzione, ciò detto tutti i medici provengono dall’ambito di medicina generale con una specializzazione in cure palliative.
Luca Di Sarra. Fotografia di Martina Lambazzi
«Questa struttura è identificata all’interno della Casa della Salute, dove ci occupiamo tanto anche dell’aspetto preventivo, curativo e riabilitativo. Con il PNRR andremo incontro alla trasformazione da casa della salute a casa della comunità. Questo è il cambio di paradigma che si vuole far recepire alla popolazione: non ci si reca nella struttura solo quando insorge la malattia. Nella casa della Salute ci occupiamo della cura di pazienti terminali, ma partecipiamo anche al recupero del paziente nel post acuzie con l’Unità di Degenza Infermieristica e abbiamo una serie di ambulatori dove si erogano prestazioni di tutte le specialistiche, inclusa la radiologia. Oltre all’hospice, quindi, la struttura sarà funzionale come ospedale di comunità, così da evitare l’ingresso inappropriato di degenti nell’ospedale per acuti, con l’obiettivo di risolvere alcune problematiche a domicilio evitando di riempire ospedali e pronto soccorso. Attraverso le cure intermedie il paziente viene stabilizzato, se ne ha bisogno, altrimenti ci si dedica all’educazione sanitaria, un modello in cui oggi si inizia a credere maggiormente».
L’agire degli operatori dell’Hospice Casa delle Farfalle è orientato sulla base di principi etici quali autonomia del paziente, beneficenza /non maleficenza e giustizia. L’aspetto più importante però, il valore fondativo, è l’autodeterminazione della persona. «All’inizio si credeva che parlare con le persone fosse tempo perso, invece poi nel nostro codice deontologico, uscito nel 2019, abbiamo voluto sottolineare che “il tempo di relazione è tempo di cura”. Fare un prelievo o parlare con una persona, qui dentro, ha la stessa importanza».
I volontari dell’associazione “Il Glicine”. «Il nostro compito è accompagnare i pazienti, con empatia, nella fase finale della vita»
Al termine di questo primo confronto abbiamo avuto modo di conoscere Silvia Partigianoni, Sonia Chiarlitti e Giampiero Carollo, i volontari dell’associazione “Il Glicine” che, insieme agli operatori sanitari, si occupano di prestare assistenza e ascolto ai pazienti. Silvia non nasconde l’emozione mentre ci affida le ragioni che l’hanno spinta a intraprendere questa esperienza. Il ricovero di sua mamma in hospice, il momento delicato della sua morte, fino alla richiesta da parte dell’assistente sociale con la quale aveva ormai stretto un legame di prendere parte alle attività di volontariato. «Questo è stato il mio inizio, quando vengo qui mi sento bene. Ho vissuto la malattia di mia madre in solitudine, ora penso che alle persone che arrivano in questa struttura faccia piacere ricevere un gesto o una parola di conforto».
Sonia Chiarlitti all’Hospice Casa delle Farfalle. Fotografia di Martina Lambazzi
Silvia e Sonia, così come gli altri volontari, fanno fronte alle esigenze quotidiane degli ospiti, come lavare i capelli a chi lo necessita o fare la barba ai pazienti che lo desiderano, nel pomeriggio invece cercano di creare piccoli momenti ricreativi portando loro qualcosa da mangiare: un gesto simbolico per dare conforto. «Nel momento in cui entro in struttura mi definisco una bianca: non sono più una maestra o una mamma, sono al pari delle persone con le quali mi relaziono. Quando seguivo i pazienti in Rsa mi trovavo di fronte a persone molto anziane, spesso qui assisto giovani che lasciano le loro famiglie e i loro bambini. Siamo assistiti da una psicologa con la quale spesso ci interfacciamo e seguiamo dei corsi analizzando, tra l’altro, le ragioni per cui iniziamo questi percorsi. Con l’aiuto di una professionista comprendiamo il modo corretto di avvicinarci ai pazienti».
Anche Giampiero porta il proprio contributo raccontando la sua attività di musicoterapeuta. «Sono stato contattato qualche anno fa dall’associazione “Il Glicine” che mi ha proposto di lavorare in hospice. In Italia è da relativamente poco tempo che esistono titoli ufficiali di musicoterapia, ma mi auguro che questa professione venga riconosciuta presto perché all’estero è già considerata una tecnica di riabilitazione a tutti gli effetti.
Qui mi occupo di musicoterapia recettiva, che prevede l’ascolto musicale. Portiamo avanti un lavoro centrato sul tono dell’umore, in particolare sul tono ansioso, con l’obiettivo di ridurre la sensazione di solitudine. Le musiche sono scelte da me, ma di solito faccio un’intervista informale per capire quali sono i generi preferiti partendo dal cosiddetto ISO (identità sonoro musicale), ossia le musiche che hanno accompagnato la vita delle persone con le quali entro in relazione. Non esiste una musica universalmente curativa, ognuna provoca effetti potenzialmente diversi. L’abilità del musicoterapeuta è gestirla e questo non è sempre possibile, perché alcune persone con le quali ho lavorato non avevano più la facoltà di parlare. Tra i benefici della nostra attività c’è un innalzamento del tono dell’umore, una riduzione dell’ansia, così come il fatto stesso di creare movimento».
I volontari dell’associazione “Il Glicine”. Fotografia di Martina Lambazzi
La riflessione sul ruolo ricoperto dalla malattia e dalla morte in ambito sociale provoca domande necessarie: come avvicinare ciò che tentiamo inesorabilmente di rimuovere? Come normalizzare un evento ordinario che al contempo ci mette in contatto con la straordinarietà della vita?
«Penso che la morte vada trattata, anche nei discorsi, come una tappa necessaria della vita. Ritengo che non sia nostro compito far accettare ai pazienti questa condizione. Il nostro compito è accompagnarli con empatia nella fase finale della vita, intervenendo attraverso un accompagnamento più dolce possibile. Perché il fatto che si cerchi di aumentare la serenità non significa che ci sia».