L’intervista a Maria Carmen Fasolo, referente del Laboratorio Zen Insieme per i programmi educativi, per il supporto alla fragilità genitoriale e per i rapporti con i servizi territoriali, si inserisce più o meno a metà del nostro reportage sullo Zen e offre una mappatura attenta e scrupolosa delle attività interne ed esterne all’Associazione e degli spazi del quartiere.
Maria Carmen entra in contatto con Zen Insieme nel 2012, ma inizia una collaborazione stabile nel 2015 e da diversi anni si occupa del coordinamento di «tutti i programmi educativi e nello specifico del progetto Punto Luce, un programma di contrasto alla povertà educativa, portato avanti insieme a Save the Children, e che si rivolge ai bambini e alle bambine dai 6 ai 18 anni». Quello che ci racconta e che ci mostra accompagnandoci nelle diverse aree dell’Associazione e di cui si fa portavoce è un percorso educativo strutturato a partire da una consapevolezza primaria: crescere è desiderio. Ovunque e soprattutto in contesti sociali dove la deprivazione delle possibilità è causa dell’impoverimento delle aspettative stesse, è fondamentale non dimenticare che l’autodeterminazione e dunque la crescita personale di ciascuno riflettono la capacità di desiderare e sognare qualcosa di diverso rispetto a ciò che è già dato nel presente.
Il suo sguardo sul quartiere e sulle sue possibilità è completo e al tempo stesso complesso, è uno sguardo che lo vede dall’interno: «ho sempre vissuto lo Zen senza veli, l’ho accolto per quello che è nella realtà e mi ha restituito il suo senso di comunità e di casa fin dall’inizio».
Qual è l’orientamento educativo che sta alla base delle attività promosse e gestite dal Laboratorio Zen Insieme?
Tutte le attività vogliono essere percorsi personalizzati per ogni bambino e per ogni bambina. Percorsi che tengano conto non solo dei loro bisogni, ma anche dei loro desideri e, laddove riusciamo a coglierne l’opportunità, diventano percorsi che cercano di valorizzare i loro talenti. Purtroppo, chi nasce in contesti di deprivazione sociale non ha la possibilità di sperimentarsi o di avere vicino qualcuno che ne noti le potenzialità e quindi di avviare dei percorsi strutturati.
Maria Carmen Fasolo al Laboratorio Zen Insieme. Fotografia di Martina Lambazzi
Qui al Laboratorio Zen Insieme, invece, durante le attività riusciamo a notare se un bambino e una bambina – faccio un esempio – è particolarmente dotato/a per la musica e a quel punto possiamo individuare, magari appoggiandoci a delle realtà che possano economicamente agevolarne la crescita, e pagare un corso di musica individuale, che permetta di coltivarne effettivamente il talento. Quest’anno abbiamo lavorato molto per attivate agli adolescenti quelle che, con Save the Children, chiamiamo doti educative; tra queste, ad esempio, in collaborazione con la Scuola del Fumetto è stato strutturato un corso ad hoc sulla base delle loro attitudini. Le doti educative sono diventate strumenti per percorsi individualizzati, che permettono di intraprendere un processo più soggettivo e riescono a sopperire alle difficoltà economiche della famiglia, che, da sola, non potrebbe permettersi di pagare un corso alla propria figlia o al proprio figlio.
I nostri percorsi includono un lavoro importantissimo con le famiglie: tutto prova ad essere un lavoro condiviso e dal basso. A partire dall’iscrizione alle attività, i genitori devono condividere lo spirito educativo che portiamo avanti, altrimenti ci si ritrova a fare da baby-sitter. Negli anni, grazie alle riunioni con i genitori, ai colloqui individuali e alle attività di contorno in collaborazione con gli altri servizi del Laboratorio Zen Insieme, è arrivato ben chiaro il messaggio che stiamo svolgendo un lavoro prettamente educativo e che in questo lavoro ognuno è parte attiva, assumendosi un pezzetto di responsabilità: noi in quanto educatori ed educatrici, i genitori in quanto famiglia, così come la scuola o eventuali altri attori coinvolti, che possono essere il servizio sociale piuttosto che il tribunale o il consultorio. Per noi è fondamentale questo tipo di comunità e di rete, perché negli anni è questo che permette di ottenere dei risultati a lungo termine.
Abbiamo capito quanto sia importante dare stimoli diversi e nuovi, affinché siano poi loro a scegliere. Quello che caratterizza questo contesto è la mancanza di opportunità e di conseguenza la mancanza di scelta, quindi proviamo a fornire strumenti, non diamo loro qualcosa di già pronto. È un lavoro di accompagnamento per insegnare a scegliere in maniera cosciente e critica.
Come è strutturato il programma educativo Punto Luce?
L’organizzazione del Punto Luce si articola in due principali momenti della giornata. Nelle prime due ore svolgiamo l’accompagnamento allo studio, che non è un doposcuola, perché per noi l’obiettivo non è mai stato far sì che il bambino o la bambina abbia svolto tutti i compiti, piuttosto cerchiamo di attivare un processo che li aiuti a comprendere il metodo di studio più adatto così da renderli sempre più autonomi. Preferiamo, motivandolo anche alla famiglia e alla scuola, che i bambini e le bambine non facciano tutti i compiti, ma che acquisiscano il metodo con cui si svolgono. La tendenza di base di molti bambini e bambine è “non lo so fare, aiutami tu”, che di fatto significa “sostituisciti a me”. L’accompagnamento allo studio è strumento educativo anche perché ci permette di lavorare sulle regole: condividere spazi e tempi, darsi e rispettare regole comuni che permettano la convivenza di più bambini e bambine, dal momento che lavoriamo sempre in maniera gruppale. In questo modo imparano a rivendicare i loro diritti e a capire che hanno dei doveri.
Laboratorio di musica. Fotografia di Martina Lambazzi
La seconda parte del pomeriggio, invece, viene dedicata ad attività laboratoriali, strutturate sempre a partire dai desideri delle bambine e dei bambini. Quando riprogrammiamo il calendario facciamo sempre prima un momento di consultazione con loro per capire effettivamente cosa desiderino sperimentare. Uno dei laboratori che negli anni abbiamo portato avanti con maggior successo e che continua ad essere richiesto è il laboratorio di cucina e sana alimentazione. Abbiamo la fortuna di avere una cucina dove realizziamo laboratori sui sani stili di vita e sull’alimentazione sana e a basso costo sia con i bambini e le bambine ma anche con i genitori.
Un altro laboratorio che funziona molto bene è quello di musica. È sempre stato molto frequentato e ci ha portato a scoprire dei giovani talenti, tra questi un ragazzo che adesso proverà ad accedere ai corsi propedeutici del conservatorio. Insieme a questi anche il laboratorio di lettura, il laboratorio di new media perché, con Save the Children, siamo sempre stati molti attenti all’uso consapevole delle nuove tecnologie. Lo scorso anno, un gruppo di ragazzi e ragazze ormai adolescenti, con il supporto di una collega, ha tenuto incontri su questa tematica a studenti e studentesse del terzo anno di una scuola superiore. Hanno gestito un laboratorio sull’uso consapevole delle nuove tecnologie da peer, dopo aver intrapreso qui con noi un percorso durato anni.
Il laboratorio di orto e giardinaggio è stato co-costruito con i bambini e le bambine ed è condiviso con gli abitanti le cui case affacciano da quel lato della nostra sede. Utilizziamo i prodotti dell’orto anche per i laboratori di cucina, quindi veramente prodotti a chilometro zero. Questo laboratorio è dedicato anche all’apprendimento della cura per gli spazi comuni. Lo Zen non ha spazi di socializzazione pubblici, uno degli unici due spazi che sono stati realizzati negli ultimi anni e che permettono l’incontro tra bambini e genitori è il campetto di calcio, richiesto a gran voce da tutto il quartiere e per il quale ci siamo fatti mediatori con l’amministrazione comunale, ed è uno spazio del tutto autogestito, condiviso e pubblico: se ne prendono cura gli abitanti e soprattutto gli adolescenti. L’altro spazio pubblico è il giardino di Via Primo Carnera, realizzato in occasione della Biennale di Arte Contemporanea Manifesta 12 ed è anche questo frutto di una condivisione con gli abitanti: è stato progettato con chi vive in prossimità del giardino. È aperto e accessibile a tutti, non abbiamo voluto recinsioni.
Un altro laboratorio molto creativo pensato, tra le altre cose, per stimolare la fantasia dei bambini e delle bambine è quello dedicato all’apprendimento del riciclo. È importante lavorare anche su questo perché allo Zen non si fa la raccolta differenziata, ma proviamo comunque a farli riflettere sull’impatto che hanno certi materiali sull’ambiente.
Il laboratorio di fotografia è andato molto bene, talmente tanto che a volte i ragazzi e le ragazze si sostituiscono ai professionisti che chiamavamo per gli eventi che organizziamo, adesso sono loro che realizzano video e foto. Qualcuno di loro probabilmente proseguirà su questa strada.
Laboratorio Zen Insieme. Fotografia di Martina Lambazzi
Lo sport, soprattutto il calcio, lo decliniamo in varie vesti: per i più piccolini facciamo attività motoria legata all’esercizio fisico e ai sani stili di vita, con i più grandi invece il calcio è stato l’elemento di aggancio. Siamo tra gli organizzatori e i promotori di Calciando in rete, un torneo cittadino, dove partecipano tutti i centri aggregativi di Palermo, in modo tale che chi partecipa riesca ad incontrare i coetanei e le coetanee di altri quartieri e confrontarsi con situazioni simili o del tutto diverse dalle loro. Da due anni a questa parte, i ragazzi dai 12 anni in su hanno costituito una squadra di allievi, il Palermo Calcio Popolare, che si occupa di ripristinare l’attitudine del gioco precedente ai principi del calcio moderno e che partecipa ad un campionato provinciale.
Un altro elemento che per noi è stato fondamentale e che nasce ancora prima della riapertura dei nostri locali, dopo la ristrutturazione del 2016, è stata la realizzazione di una biblioteca, che è la prima biblioteca di quartiere e il cui funzionamento adesso è straordinario. Non soltanto i bambini e le bambine, ma anche i genitori del quartiere usufruiscono dei servizi della biblioteca, partecipano ai laboratori di lettura, prendono in prestito i libri e partecipano alle presentazioni dei libri. Vengono richiesti ed effettuati dei prestiti anche da fuori perché siamo riusciti a far rientrare la Biblioteca Giufà all’interno del circuito delle biblioteche cittadine, quindi su SBN sono disponibili i nostri libri. Questa è stata la nostra più grande sfida perché sicuramente uno degli obiettivi dell’Associazione è il contrasto a ogni forma di pregiudizio e di stereotipo, soprattutto riguardo a chi vive allo Zen. La biblioteca potrebbe essere quel posto che ti porta a venire allo Zen e per un motivo bello: consultare o prendere in prestito un libro, ma anche partecipare ai laboratori di lettura e alle presentazioni che organizziamo.
I bambini, le bambine e le loro mamme hanno scoperto la bellezza della lettura. Molti di loro non hanno libri a casa, se non – quelli più fortunati – i testi scolastici. I più piccoli e le piccole non sapevano cosa fossero i libri di lettura o gli albi illustrati, la possibilità di andare in biblioteca e sedersi, magari anche senza leggere, ma sfogliare i libri e farsi raccontare cosa c’è scritto, vuol dire molto.
Come dicevi, con i ragazzi e le ragazze più grandi uno strumento di coinvolgimento e di aggancio è stato anche lo sport, come avete integrato, invece, i bambini e le bambine?
Con i più piccoli è semplice perché i genitori hanno bisogno di qualcuno che li sostenga nello svolgimento dei compiti e che consenta loro di fare attività che in quartiere sarebbe impossibile fare, perché non ci sono palestre o banalmente corsi di danza o di musica. Quindi sono le famiglie che sentono l’esigenza di tenere impegnati i bambini e le bambine.
Per i più grandi, oltre allo sport?
Spesso si avvicinano per rispondere ad un bisogno, come potrebbe essere un sostegno per una materia scolastica che risulta più difficile. A partire da questo poi viene costruita la relazione, magari mostrando loro cosa facciamo. Organizziamo anche eventi divertenti in giardino, come le “arrostute”, grigliamo la carne tutti insieme ed un modo per socializzare, conoscerci meglio e condividere obiettivi. Il nostro gruppo di adolescenti è formato da ragazze e ragazzi arrivati in associazione da piccoli per volontà dei genitori, ma adesso sono loro che ci chiedono di poter organizzare delle attività, di poter usare la biblioteca come luogo di incontro, di andare a teatro o a vedere una mostra. Nell’ultimo anno e mezzo, dovendo attenerci alla normativa anti-covid, abbiamo riorganizzato le nostre attività in turni e con i ragazzi più grandi abbiamo strutturato attività all’aperto, due volte alla settimana ci si incontrava anche solo semplicemente perché avevano voglia di stare seduti in cerchio a confrontarsi e parlare di cose successe.
Quanti bambini, bambine e adolescenti sono presenti qui allo Zen Insieme?
Pre-pandemia, ci aggiravamo sulle cento presenze giornaliere: moltissime sulle attività esterne e lo sport e altre sull’accompagnamento allo studio e attività laboratoriali. Adesso abbiamo dovuto notevolmente ridurre i numeri e ci aggiriamo intorno ai sessanta, però negli anni il numero di bambini e bambine che hanno transitato all’interno dell’associazione arriva intorno ai 400. Tendiamo a suddividerli in maniera omogenea, quindi sulla base dell’età oppure delle difficoltà o delle potenzialità che emergono nel corso dell’accompagnamento allo studio. I laboratori invece vengono suddivisi sulla base dei loro desideri.
Dall’inizio della pandemia immagino abbiate dovuto reinventare le vostre attività…
Totalmente, eravamo abituati a stare qui tutto il giorno tra attività interne ed esterne, poi ci siamo ritrovati chiusi ognuno nella propria casa, senza vederci di persona e sentire come stava l’altro. Senza poter avere vicino le bambine e i bambini per capire quali fossero effettivamente le loro necessità. Abbiamo continuato a sentirli con grande fatica, perché non tutti avevano a disposizione un tablet o un cellulare da poter utilizzare. Nel nostro piccolo, con l’aiuto di Save the Children, abbiamo provato a fornire dei dispositivi che potessero agevolare sia la didattica a distanza, sia la relazione con noi. Ovviamente però, se una famiglia ha cinque figli, tutti in età scolare e tutti devono fare la Dad, ma ha a disposizione un tablet e un telefono, non è affatto semplice.
Laboratorio di orto e giardinaggio. Fotografia di Francesco Formica
La pandemia ha realmente creato delle nuove forme di povertà, prima c’erano delle famiglie che riuscivano a vivere con una certa serenità e poi all’improvviso si sono ritrovate a dover fare richiesta del reddito di cittadinanza. Alcune famiglie che, prima non ci avevano mai chiesto aiuto, hanno dovuto farlo. In alcuni quasi questa situazione ha creato anche delle difficoltà relazionali con i propri figli, per la vergogna di aver perso il lavoro e non potersi più permettere di fare almeno delle piccole cose, come l’acquisto del libro per la scuola. D’altra parte però, le famiglie che hanno sempre vissuto difficoltà più gravi si sono messe a disposizione degli altri, mostrando una solidarietà forte nel quartiere.
Nonostante ciò, dei quartieri di Palermo ci reputiamo tra i più fortunati perché sono arrivati aiuti materiali e insieme alle altre associazioni presenti allo Zen si è creata una rete di supporto e di sostegno rivolta a tutti, con la collaborazione di chi vive qui e che ha capito, nonostante le difficoltà fossero le medesime, che qualcuno aveva più bisogno. Questa è una cosa importante da restituire e raccontare. Spesso si tende a pensare che in situazioni come queste si inneschi una sorta di guerra tra poveri, ma in realtà durante questo anno così difficile molti si sono avvicinati proponendosi per darci una mano, anche nelle cose più piccole come la suddivisione della spesa. Prima della pandemia non avevamo mai fornito aiuti materiali: da sempre abbiamo scelto di stare nel quartiere in un altro modo, proprio perché era abituato all’assistenzialismo, un approccio che noi non abbiamo mai assolutamente condiviso.
Qual è lo spirito personale con cui sei entrata al Laboratorio Zen Insieme e come è cambiato, se è cambiato, nel tempo?
Sono arrivata allo Zen nel 2012 per una collaborazione in un progetto che il Laboratorio Zen Insieme stava portando avanti alla scuola Falcone. Non sono palermitana, sono arrivata a Palermo per ragioni di studio e poi ho deciso di rimanere. Avevo sentito parlare dello Zen come di un quartiere con problemi di microcriminalità e di spaccio, ma non sapevo cosa aspettarmi davvero. La prima volta venni qui da sola in autobus e il conducente mi disse “ma lei è sicura che deve andare allo Zen?”, non capivo quelle parole, per me era come andare in qualsiasi altro punto della città.
Maria Carmen Fasolo e i ragazzi nella Biblioteca Giufà. Fotografia di Francesco Formica
Ho sempre vissuto lo Zen senza veli, l’ho accolto per quello che è nella realtà e mi ha restituito il suo senso di comunità e di casa fin dall’inizio. Per me questa è casa, anche perché passo qui intere giornate, amo starci perché mi piace il lavoro che faccio. Non sono venuta qui con la presunzione di sapere cosa fosse giusto per lo Zen o per i suoi abitanti. Ho imparato tantissimo da loro, dalle mamme e dai genitori. Quando vuoi davvero conoscere una cosa, ti avvicini non rimani sul bordo, ci entri dentro. Ci entri dentro e provi a vedere cosa c’è.
Faccio sempre un esempio che secondo me è molto esplicativo: sono una psicologa e mi sono occupata spesso di disabilità, ma dal punto di vista burocratico, quindi delle procedure necessarie per il riconoscimento della disabilità, non sapevo nulla. Ho notato che una delle mamme che frequenta più assiduamente l’Associazione, che ha due figli con disabilità e, nonostante la povertà di strumenti perché parliamo di una persona che ha la quinta elementare e che vive di piccoli lavori, è davvero competente. Non ha mai fatto mancare niente ai suoi figli: sa a chi rivolgersi, a chi e quando inviare una mail, conosce i numeri di riferimento da contattare perché ai suoi figli vengano garanti i loro diritti. Mi ha aiutata molte volte con genitori, ai cui figli veniva diagnosticata una disabilità. Si metteva accanto a loro e spiegava passo dopo passo le procedure da seguire, noi abbiamo solo mediato questa relazione.
Hai notato delle differenze da quando sei arrivata ad oggi negli abitanti dello Zen, rispetto alla consapevolezza e agli strumenti che possono utilizzare?
Tantissime. La generazione dei genitori che accompagna le loro bambine e i loro bambini qui è la stessa che frequentava Zen Insieme nel lontano 1988. C’è ormai un modo di approcciarsi alle cose del tutto diverso, perché loro hanno avuto delle esperienze diverse rispetto a quelle dei loro genitori. C’è chi ha deciso di andarsene via, c’è chi decide invece di rimanere qui perché sente questo quartiere come casa e vuole che anche i propri figli crescano qui avendo a disposizione però le stesse opportunità di chi nasce in altre zone di Palermo. Questo è un percorso di acquisizione di consapevolezza che ovviamente richiede anni, si impara con il tempo a non aspettare che siano gli altri a risolverti il problema e che puoi essere attivatore di risorse.