«Bisogna impedire a questo cervello di funzionare per venti anni», Michele Isgrò
Questo fu il commento di Michele Isgrò, pubblico ministero fascista, al termine della sua requisitoria con cui fece condannare Antonio Gramsci. Il politico e filosofo comunista fu dunque condannato a vent’anni di carcere, di cui ne scontò soltanto otto per motivi di salute e infatti morì pochi anni dopo. Oggi, quantomeno negli stati democratici, la libertà di parola e di espressione non è così limitata, almeno sulla carta, poiché ci sono ancora numerosi paesi in cui giornalisti ed intellettuali non possono esprimersi liberamente, persino nel tanto avanzato mondo occidentale.
World Press Freedom Index 2021: misurare la libertà di stampa
L’organizzazione no profit Reporter Senza Frontiere ogni anno elabora un indice con cui quantificare la libertà di stampa di ogni paese nel mondo per poi stilare la classifica. L’indice viene estratto da un’analisi qualitativa, realizzata grazie ad un questionario elaborato da RSF che viene sottoposto a degli esperti, messa in relazione con un’analisi quantitativa che si basa sul numero di abusi ed atti di violenza perpetrati nei confronti dei giornalisti durante il periodo preso in esame.
Il questionario si focalizza su questi criteri:
- Pluralismo: misura se sono riportate tutte le opinioni
- Indipendenza: ovvero quanto e come i media sono in grado di svolgere il loro lavoro a prescindere dallo schieramento che si trova al governo di quel determinato paese, oppure dalle istituzioni religiose o economiche
- Ambiente e autocensura: analisi del contento e dell’ambiente in cui i professionisti del giornalismo si trovano ad operare
- Quadro legislativo: misura del quadro normativo che disciplina le attività di informazione
- Trasparenza: misura la trasparenza delle istituzioni e delle procedure che incidono sulle produzioni di notizie e informazioni
- Infrastruttura: misura la qualità dell’infrastruttura che supporta la produzione di notizie e informazioni.
- Abusi: il livello di abusi e violenze effettuati contro i professionisti dell’informazione.
Fotografia di Martina Lambazzi
Raccolti tutti i dati questi vengono elaborati con determinate formule che restituiscono un numero, che naturalmente è quello che definisce l’indice finale. Più questo è vicino allo 0 tanto più alta sarà la libertà di stampa in quel determinato paese. Viceversa, più si avvicina a 100 e più sarà peggiore.
L’Italia è al 41° posto
Il nostro paese, nonostante si dichiari una democrazia compiuta, si trova soltanto al 41esimo posto della classifica mondiale per la libertà di stampa, mettendo in mostra una situazione non propriamente critica, ma di certo notevolmente migliorabile.
A gravare sui giornalisti e sulle giornaliste in Italia sono senza dubbio le associazioni mafiose, basti pensare che sono una ventina i professionisti e le professioniste dell’informazione costretti a vivere sotto la protezione delle forze dell’ordine a causa delle minacce di morte e degli attacchi ricevuti. Gravano su di loro anche le organizzazioni politiche di estrema destra, i cui membri sono più volte risultati protagonisti di aggressioni ai giornalisti specialmente nell’area della capitale. Infine, non per importanza, sono stati di ostacolo anche i membri delle associazioni negazioniste, che in più occasioni dall’inizio della pandemia si sono scagliati violentemente contro i reporter che cercavano di raccontare le varie manifestazioni no vax e simili che si sono svolte sul territorio italiano. Nel report di RSF viene infine riportata, ancora, l’influenza degli attivisti del Movimento 5 Stelle, che già anni fa erano risultati da ostacolo al libero sviluppo dell’informazione in Italia.
Libertà di stampa. La situazione della democratica Europa
Basta, in realtà, allontanarsi poco dall’Italia per incontrare paesi caratterizzati da una situazione ben più critica, persino quelli che fanno parte dell’Unione Europea. Prima su tutte c’è sicuramente l’Ungheria di Orban. Il presidente ha sfruttato la pandemia per estendere ulteriormente il suo controllo sul panorama mediatico del paese e non solo, concedendosi un potere praticamente illimitato. Naturalmente, tra i primi a rimetterci sono stati i professionisti dell’informazione, che attualmente riescono a malapena a svolgere il proprio lavoro se vogliono restare all’interno del quadro normativo ungherese.
Il caso ungherese ha poi dato il via ad altri paesi, che temevano ritorsioni da parte dell’Unione Europea. Ad esempio la Polonia, in cui il governo ha consolidato il proprio controllo sulle emittenti pubbliche ed ha influenzato fortemente quelle private, minacciando censure a destra e a manca, ottenendo in questo modo un supporto praticamente unanime dal settore dell’informazione. Non solo campagne mediatiche, però, poiché la polizia si è espressamente rifiutata di proteggere i giornalisti vittime di minacce e violenze, in favore naturalmente del governo, utilizzando persino la violenza per ostacolare il diritto all’informazione. Ad ora sono molteplici i giornalisti e le giornaliste che si stanno rifugiando nel web per poter svolgere correttamente il proprio lavoro, ma la stretta del paese potrebbe arrivare anche al web se istituzioni internazionali non dovessero intervenire prima della deriva completa.
Naturalmente, ai confini dell’Europa non possiamo non citare Turchia e Russia. Nel primo caso il presidente Erdogan ha ormai esteso il proprio controllo su tutta la nazione, ovviamente con particolare interesse nel settore dell’informazione. Per estendere il proprio dominio ha fatto approvare appositamente diverse leggi, tra le quali quella sull’intelligence, sull’antiterrorismo e persino una che consente di dperseguire per “insulto al presidente”. Il caso più eclatante rimane quello del fittizio colpo di stato del 2016, grazie al quale Erdogan ha avuto la possibilità, utilizzando la scusa dello stato di emergenza, di chiudere più di cento emittenti e giornali e arrestare numerosi giornalisti in tutto il territorio nazionale.
Fotografia di Martina Lambazzi
L’ex roccaforte del comunismo, invece, è governata ormai da un ventennio da Putin, che indomito controlla tutta la nazione. Il presidente russo controlla ormai tutte le emittenti pubbliche, rilevate direttamente dal Cremlino, mentre per quelle private sono in mano a uomini a lui vicinissimi. La stretta sull’informazione e sulla libertà di parola più in generale è aumentata dall’inizio delle proteste dei suoi oppositori politici, prime su tutte quelle guidate da Alexei Navalny, che hanno causato una ancor maggiore inondazione di propaganda in tutte le emittenti nazionali. Anche internet è sotto diretto controllo del Cremlino, costringendo la popolazione russa ad essere totalmente priva del diritto di informazione.
In Afghanistan il declino è già iniziato
Dopo la presa di Kabul da parte dei talebani, com’era facilmente prevedibile in Afghanistan la libertà di stampa è venuta meno, nonostante le dichiarazioni dei talebani, che in un primo momento avevano ammesso di lasciare la libertà di stampa e di informazione nel proprio paese. Naturalmente mentivano. Fin dai giorni successivi dalla presa della capitale, infatti, si sono registrate violenze ed abusi nei confronti dei professionisti dell’informazione, molti dei quali sono stati già picchiati, poiché dichiarati miscredenti. Christophe Deloire, segretario di RSF, ha infatti riportato che molti sono costretti ad assecondare le richieste dei talebani, i quali hanno intenzione di dettare la linea dell’informazione interna, altrimenti si rischiano le violenze e nel peggiore dei casi anche la morte. Sono già circa un centinaio le emittenti ed i giornali che hanno interrotto i propri servizi, mentre quelle rimanenti sono costrette a sottostare al volere dei terroristi.