Tor Bella Monaca a Roma è uno dei quartieri che volevamo raccontare attraverso le persone che lo conoscono, che ci vivono o che in qualche modo lo abitano. Persone che, oltre a conoscerne le problematiche, ne riconoscono i rumori, le storie, ne comprendono l’andatura, persone che quindi possano restituirle una narrazione diversificata e vera.
La prima persona che abbiamo incontrato per parlarne è Michele Daini, impegnato da anni sul territorio e adesso candidato come consigliere municipale per il VI Municipio con Sinistra civica ecologista. «Il mio mestiere è qua, nel piccolo associazionismo, cerco di declinare la politica al sociale». Ci racconta Tor Bella Monaca e alcune delle altre periferie a Roma per aneddoti, sintomo del fatto che non è possibile raccontare un luogo senza raccontare le persone che lo animano, che qualsiasi posto è l’insieme delle piccole cose che accadono al suo interno.
Partiamo velocemente da una passerella recente e tipica delle campagne elettorali: Salvini a Tor Bella Monaca.
Sono stato l’unico del territorio, impegnato in queste elezioni, ad andare a vedere Salvini. Credo che uno sguardo antropologico sia sempre utile, soprattutto se vuoi declinare la politica al sociale, come voglio fare io. Il VI Municipio a Roma vota poco e quasi tutto a destra, nonostante ciò erano poche le persone scese dai palazzi per vedere Salvini. Questo dimostra quanto la gente sia disillusa e completamente avulsa dalla vita politica, soprattutto chi vive nei palazzi popolari. Anche io ho vissuto nei palazzi popolari e so come funziona.
Ti ho chiesto di scegliere un posto per questa intervista, un luogo che conosci bene per tracciarne una fisionomia autentica lontana dalla retorica della microcriminalità delle periferie. Perché hai scelto il Polo Ex Fienile di Tor Bella Monaca?
Riassumo brevemente la storia del Polo Ex Fienile, che è una delle espressioni, pensata dal Professor Piero Vereni, della Terza Missione dell’Università di Tor Vergata. Nasce come Laboratorio di Pratiche Etnografiche, da cui l’acronimo LAPE. Nasce quindi per fare ricerca etnografica sul territorio, anche per capire se effettivamente Tor Bella Monaca potesse esaurirsi nel racconto della criminalità o se ci fosse altro da vedere e raccontare. Ci sarà altra gente a Tor Bella Monaca o ci sono solo quelli che si sparano addosso?
Michele Daini. Fotografia di Francesco Formica
Nasce per raccogliere le testimonianze delle persone, abbiamo una banca dati delle interviste enorme: qui le persone camminano a testa bassa, non parlano, vanno avanti e basta perché nessuno li hai mai ascoltati, ormai sono convinti che “tanto le cose so’ sempre quelle. Il mondo non può cambiare”. In realtà abbiamo scoperto molte persone che hanno voglia di raccontare le periferie e come vivono, abbiamo raccolto racconti bellissimi. Di Tor Bella Monaca si immaginano le Torri e basta, ma c’è gente che vive qui dagli anni Sessanta, molti anziani dicono spesso quello che poi per noi è diventato un mantra: “qui una volta era tutta campagna”.
Ora conosciamo anche il processo urbanistico di Tor Bella Monaca, sia nei lati virtuosi e ne sono esempi il Cubo Libro, El Chentro Sociale Torbellamonaca di Mario Cecchetti, sia negli aspetti più problematici. Questo polo con il tempo è diventato un polo polifunzionale: da Laboratorio di Pratiche Etnografiche è diventato a tutti gli effetti uno strumento, che attraverso l’analisi antropologica, agisce effettivamente sul sociale. Come dice sempre il professor Vereni, l’antropologia non è una scienza neutra. Agisce sul sociale, è sempre schierata in un certo senso, è politicizzata, non partitica però. Sono nate realtà interne, come la Scuola di politica, il laboratorio Mondi di mamma, l’Associazione 21 Luglio che fa attività con i bambini, gli sportelli legali per gli stranieri, le psicologhe, il Collettivo Musicale, un’associazione non formata e informale, che mette a disposizione una sala prove, una sala registrazione e lezioni di musica a prezzi accessibili ai ragazzi e alle ragazze del quartiere. Questo è un polo in cui la gente può venire e usufruire di servizi.
Per tornare alla tua domanda, ho scelto di venire qui al Polo Ex Fienile – e avrei potuto scegliere tanti altri posti – perché è lo spazio che mi ha coinvolto di più. Se c’è un luogo simbolo della periferia o delle periferie in cui ho vissuto non ti dico le Torri di Tor Bella Monaca, ti dico il Polo Ex Fienile. Polo Ex Fienile è il simbolo della mia periferia.
Da bambini ci limitiamo a subire un posto, poi crescendo succede di volerlo trasformare invece. Come è cambiato il tuo modo di vivere le periferie?
Quando ero un ragazzino nelle periferie non c’era proprio niente, il centro per noi era un’altra città, non ci sentivamo di quella Roma lì. Vedevamo via del Corso come dei turisti e ancora oggi, a 27 anni, se vado al Colosseo ho ancora gli occhi del turista.
Poco tempo fa su Facebook parlavamo di Roma, di cittadinanza e un mio amico ha scritto una frase che secondo me è tutto sia nel senso positivo che negativo, racchiude tutto quello che io ho vissuto da bambino e ho elaborato in modo diverso con il tempo. Lui ha scritto: “Michè, io non so’ de Roma, so’ de borgata”. Non ho saputo rispondere, perché con quella frase mi aveva detto tutto.
Da bambino non mi sentivo di Roma, mi sentivo di borgata a volte con orgoglio, a volte con frustrazione. Gli spazi erano pochi e, nonostante sia un uomo di sinistra, devo fare un plauso alla chiesa locale in cui sono cresciuto perché era l’unico spazio aggregativo. Non tutte le famiglie potevano o possono permettersi di iscrivere i propri figli a calcio e quindi tutti andavamo in oratorio per giocare a pallone e lì c’erano delle regole, era una piccola forma di educazione alla cittadinanza, che spesso manca nei quartieri. Perché dove la trovi? Potresti trovarla nelle scuole, ma tanti miei amici hanno smesso di studiare in terze media, alcuni nemmeno, oppure nelle associazioni o nei centri aggregativi.
Gli spazi di socialità del periodo in cui ero un bambino sono stati la chiesa e Corto Circuito, la scuola popolare in cui andavo. Questi sono stati i luoghi che mi hanno aiutato a sentirmi un po’ più cittadino, poi il passaggio nel dire “sono di Roma e non di borgata” l’ho attraverso quando ero già grande, perché sono riuscito a capire che il mio quartiere non è solo una merda, non è solo un posto in cui ci sono i clan che spacciano. È un luogo in cui ci sono altre persone, un luogo in cui posso trovare del supporto e degli spazi sociali e in cui è necessario che spazi come questo si moltiplichino, ma all’inizio ho vissuto anche io la periferia come tutti, cioè come un non luogo, un quartiere dormitorio.
Senza luoghi di aggregazioni umana, di incontro…
Sì, ti faccio l’esempio di Cinecittà est dove sono cresciuto e dove ad un certo punto hanno costruito il corridoio della mobilità, una sorta di pista ciclabile con dei giochi, può sembrare niente ma non è assolutamente così: le persone del quartiere hanno avuto modo di vedere anche un po’ di bello. Non sono uno di quei radical chic che, pur non avendo mai vissuto nelle periferie, sono convinti che il bello possa cambiarle, però in parte hanno ragione. Il bello, cioè la possibilità di vedere anche altro rispetto a questi palazzoni costruiti in blocco, aiuta ad uscire mentalmente dall’ottica delle abitazioni prigione.
Ti racconto un paio di aneddoti. Il primo riguarda Tor Bella Monaca: avevo preso parte ad un’assemblea urbanistica partecipata con degli architetti per un percorso di ristrutturazione della piazzetta a Largo Ferruccio Mengaroni. I cittadini e le associazioni erano chiamati a dire la loro, mi ricordo di alcune signore titubanti e di una di loro che inizia a parlare con fatica perché non era abituata a farlo in pubblico o nelle assemblee. Molto timidamente dice: «se è possibile anche delle panchine un po’ più carine». L’ha detto con la rassegnazione negli occhi, come per dire “se c’è tempo, se è possibile anche un po’ di bello”. Qui la gente non si aspetta più di avere delle belle panchine, un bel parchetto, che sicuramente non sono la risoluzione dei problemi, ma anche queste sono cose importanti.
Il secondo aneddoto riguarda sempre una riunione, durante la quale un signore del posto disse: «è inutile che famo delle cose qua, tanto qua te le distruggono». Questo non vivere il bene comune è un altro grande problema. Per questo credo molto nell’educativa di strada e non solo all’interno degli spazi.
Gli urbanisti del secolo scorso hanno pensato bene di creare dei quartieri-città, dotarli di qualche servizio e ammassare lì dentro persone indigenti cosicché non sarebbero dovute più uscire.
Esattamente, l’ho vissuto sulla mia pelle. Sono quartieri dotati di tutti i servizi primari – più o meno- ma non c’è un pub, un ristorante, un cinema. Qui a Tor Bella Monaca c’è un teatro ma non è per niente fruito dalla gente. Gli alloggi popolari devono esistere, ma non possono essere quartieri ghetto.
Michele Daini. Fotografia di Francesco Formica
La costruzione degli alloggi popolari deve essere pensata in tutt’altro modo, deve essere più capillare e diffusa, ma chiaramente – ti faccio soltanto un esempio – chi abita a Barberini non vuole i poracci vicino. Le istituzioni dovrebbero prevedere, invece, palazzi popolari ovunque e soprattutto in luoghi dotati di servizi che non siano solo quelli primari, ma anche di aggregazione e intrattenimento. Qui a Tor Bella Monaca se non hai la macchina non fai niente, sei chiuso. Non ci arriva nemmeno Enjoy o Uber, nemmeno il taxi. Urbanisticamente le periferie sono state costruite come luoghi in cui puoi entrare e uscire senza trovare nulla nel mezzo, in mezzo non c’è transito umano.
In questo modo si cristallizza la classica separazione tra centro e periferia, quella che sintetizzava il tuo amico quando diceva “non so’ de Roma, so’ de borgata”.
Sì, proprio per questo l’obiettivo è riuscire a far dire ad una persona che vive in periferia “sono di Roma”. Nella mia prima adolescenza ho vissuto il processo di gentrificazione di Viale Antonio Ciamarra, quando sono arrivati i primi studenti all’Università di Tor Vergata. Si è rivalutato il quartiere, dal niente alla vita, perché iniziava ad esserci l’influenza dall’esterno. È importante che la gente di Tor Bella Monaca abbia contatti con quelli che vengono da altre zone.
Cos’è Tor Bella Monaca?
Cos’è Tor Bella Monaca? Tor Bella Monaca è tante cose, è vivacissima. Tor Bella Monaca sono i palazzi popolari, famiglie normalissime. Anziani gentilissimi, magari con dei modi un po’ particolari che però sono quelli della vecchia Roma. Qui si ritrova anche lo spirito di una vecchia Roma, quella che “ao te saluti co tutti, che se passi e non saluti sei un maleducato”. Tutto il VI Municipio, non solo Tor Bella Monaca, è un territorio dove la natalità supera la mortalità: abbiamo tantissimi anziani ma anche tantissimi giovani.
Tor Bella Monaca è gente che lavora, specifichiamo che solo una piccola percentuale spaccia. È un agglomerato eterogeneo di persone e cose. A Tor Bella Monaca c’è tanta normalità e tanta solidarietà, tanto mutualismo. Esiste anche la parte della gente disillusa e della violenza, però è anche sbagliato dire che Tor Bella Monaca è soltanto il coatto. Un qualsiasi film di Carlo Verdone la rappresenta bene, perché qui ci sono tutti i suoi personaggi.
Tempo fa hai discusso con Vittorio Brumotti sui social. La sua è sicuramente una retorica che nutre lo stigma delle periferie. Vuoi dirci il motivo della discussione?
La discussione con Brumotti è nata principalmente su Instagram: gli ho lanciato una provocazione, perché quello che fa è molto sbagliato e purtroppo ha molta risonanza. Non mi piace affatto la spettacolarizzazione del degrado e noi qui siamo favorevoli alla legalità ma non al legalismo, che invece è quello che fa Brumotti quando punta il dito e la telecamera in faccia alle persone, è un gesto violento, quella è la vera violenza.
Michele Daini. Fotografia di Francesco Formica
Sono impegnato anche sul fronte della legalizzazione della cannabis, soprattutto a scopo terapeutico. Ho una malattia cronica e per me accedere alla cannabis è complesso e molto dispendioso. Per provocarlo ho fatto una storia su Instagram in cui agitavo un pezzo di hashish e lui ha risposto dicendomi che sono uno spacciatore, immaginavo che sarebbe stata quella la sua risposta.
Mi hanno contattato molte persone, anche i sostenitori di Brumotti, e ho spiegato loro che il suo modo di intervenire non aiuta in alcun modo i quartieri, non è un servizio per le periferie. Si accanisce contro le ultime ruote del carro, mentre le piazze di spaccio continuano ad esistere. È la lotta contro il povero e non contro la povertà.
È un approccio molto violento il suo anche perché non consente il contraddittorio. Dopo quello che è successo al Quarticciolo, è stato intervistato uno dei ragazzi a cui Brumotti aveva puntato la telecamera in faccia ed è venuto fuori che questo ragazzo è un panettiere. In occasione di quella discussione ho invitato Vittorio Brumotti qui a Tor Bella Monaca, ma lui non ha mai risposto. Gli ho detto che gli avrei fatto conoscere le persone che lavorano nel quartiere, nelle associazioni, a Villa Maraini, al Polo Ex Fienile, ma non ha mai risposto.
Narrazioni contro?
È un libro, un progetto bellissimo scritto a più mani, infatti è firmato LAPE (Laboratorio Pratiche Etnografiche). Doveva essere un’etnografia del quartiere, invece è diventata un’etnografia di noi stessi. È diventato un lavoro di analisi dei quartieri e delle periferie tramite l’autoanalisi. Ci siamo analizzati attraverso la nostra personale storia, restituendo la storia del quartiere. Si intitola Narrazioni contro non solo perché va contro la narrazione mainstream del quartiere, ma anche perché è contro nella struttura: c’è la parte in prosa, le poesie, le fotografie. È un lavoro singolare sulle periferie, nel quale gli autori si narrano e narrandosi narrano le periferie.
Come concluderesti questa intervista?
Semplicemente chiedendo una cosa alle persone. È importante che vengano a vedere le periferie, anche soltanto per un caffè. La storia di Roma si impara nei bar: in un bar a Corso Francia ascolti cose diverse da quelle che puoi ascoltare in un bar a Tor Bella Monaca o a San Basilio. Chiudo facendo un invito: venitevi a prendere un caffè a Tor Bella Monaca. Anche Brumotti, se volesse.