A chiudere i due mesi – in cui abbiamo cercato nel modo più vario e autentico possibile di far parlare “i corpi e le norme” – l’ultima storia che abbiamo raccolto, quella di Simona e del tratto di strada che il suo corpo ha condiviso con il tumore.
Gli occhi di Simona vanno visti da vicino, raccontano l’esserci senza possibilità di fraintendimento: sono lucidi di gioia e commozione, di fierezza e caducità. Brillano e non per modo di dire, brillano davvero. Simona sorride sempre e guarda gli altri e le cose intorno a lei senza filtri, perché lei è lì, è presente e non si sposta. Vorrei vedere da quei due occhi – penso – per provare il modo in cui permettono di respirare.
Simona ha capito. Ha capito quello che basta per vivere. Ha capito il peso specifico del mondo che le gira intorno, come girare insieme ad esso senza lasciarsi raggirare. «Ho fatto tanti errori, ma in questa storia no, in questa storia sono stata brava».
Si sta laureando in Medicina e ci tiene a precisare che non ha alcun problema a parlare del tumore, che «alcuni danno nomi strani a questa malattia, ma si chiama cancro e cancro è» e non va assolutamente nascosto.
Dicembre 2020. Il tumore: carcinoma duttale infiltrante G3
«Iniziavo a luglio 2020 il percorso di PMA, durato in realtà soltanto tre mesi: ho fatto il primo tranfer e non è andato bene, a dicembre ero pronta per fare il secondo, ma ho sentito un nodulo al seno. La data del secondo tranfer sarebbe stata il 19 dicembre, quindi rimandavo il controllo al seno, cercavo di prendere tempo, ma poi il 7 dicembre ho fatto la visita e due giorni dopo ero dalla senologa perché quei noduli dovevano essere indagati. Il 14 dicembre c’era già la diagnosi: carcinoma duttale infiltrante G3».
La memoria di questi ultimi mesi, per stessa ammissione di Simona, è scandita da date, tempi, minuti, appuntamenti: un calendario di occasioni che non andavano sputate ma prese al volo perché l’unico modo ammesso per stare in questa storia era contrastare, mai sopportare. Era il calendario della vita a tutti i costi.
«Di per sé è un tumore piuttosto antipatico, ma almeno i linfonodi non sembravano interessati. In pochissimi mesi era cresciuto fino a tre centimetri e mezzo, lo avevo fatto crescere con gli ormoni per la preparazione dell’endometrio al transfer. Mi hanno detto che in parte è stato positivo perché in questo modo il tumore si è slatentizzato, permettendomi di accorgermene e prenderlo in tempo».
Gennaio 2021. La chemioterapia
«La tipizzazione del tumore prevedeva un ciclo di chemioterapia e poi l’intervento, dunque mi hanno inserito il port-a-cath, il dispositivo che viene impiantato nel petto, per l’infusione della chemioterapia, e ho iniziato il 7 gennaio. Sono riuscita a sostenere dei cicli ravvicinati ogni 15 giorni, anziché ogni 21, senza saltarne nemmeno uno. Sono stata bene durante la chemio: continuavo ad allenarmi, andavo in giro con il cane, facevo tutto come prima. Non mi sono fermata un attimo, mettevo la parrucca e andavo, non si vedeva che ero sotto chemio: impiegavo un’ora per prepararmi anziché due minuti, però facevo tutto». (ride)
Non deve passare il messaggio che la chemioterapia sia una passeggiata, semplice da sostenere, perché non è così e lo sottolinea anche Simona, di effetti collaterali ce ne sono molti, ma possono essere contrastati uno ad uno.
«L’effetto collaterale più pesante da accettare e gestire, per me, è stato quello di non poter andare a prendere gli embrioni, “i miei miracoli”, che ora ho dovuto mettere da parte, ma è un discorso che si riprenderà. Per il resto non ho avvertito grandi cambiamenti nel mio corpo durante le chemio, soltanto per i primi due mesi, in cui i farmaci assunti sono epirubicina e ciclofosfamide, ho avuto nausea e vomito nei due giorni seguenti alla terapia. Intorno al terzo ciclo, quindi dopo circa un mese e mezzo, si iniziano a perdere i capelli. Fisicamente però non ho sofferto tanto, i miei valori ematici erano ottimi: conoscevo la malattia e gli effetti collaterali, quindi sapevo come contrastarli. Dalle malattie non mi faccio buttare giù. Non le sopporto, le contrasto. Perché devo sopportarle? Io non sono una vittima. Il 15 maggio finalmente è finita la chemioterapia».
Maggio. Capelli e ciglia, “quando ricrescono?”
«Naturalmente poi è arrivato il momento in cui i capelli sono caduti e con loro le ciglia, che è ancora più pesante rispetto ai capelli, perché cambia proprio lo sguardo. Dopo la fine della chemio, il 19 maggio, sono partita con il mio compagno per un paio di giorni per Monopoli e lì è caduto quel poco che era rimasto delle ciglia. Mentre fai la terapia lo accetti pure, sapendo che è un effetto collaterale, ma una volta finita inizi subito a chiederti “è ora? Quando ricrescono? Voglio tornare come ero prima”. Prima di iniziare a fare la chemio sono andata subito a comprarmi una parrucca e ho iniziato a tagliarli. Avevo dei capelli molto lunghi e in un primo momento me li sono tagliati corti, quando poi ho iniziato a trovare i capelli sul cuscino e ad avvertire dolore al cuoio capelluto dal mio compagno me li sono fatti tagliare un po’ di più, finché non li abbiamo rasati del tutto. Ci siamo divertiti anche in questo modo.
Simona d’Ettorre. Fotografia di Francesco Formica
Hanno ripreso a crescere dopo un mese circa dalla fine della chemioterapia, ad alcuni iniziano a ricrescere nei tre mesi in cui la terapia prevede il taxolo, a me no, è molto soggettivo. Una volta finiti i cicli di chemio sono andata dal mio dermatologo di fiducia che mi ha dato degli integratori da prendere, dopo un mesetto circa sono ricomparsi tutti insieme, così come le ciglia, un miliardo piccoline tutte insieme. E quello è un momento veramente bello. È qualcosa di indescrivibile, sia quando li perdi che quando li ritrovi».
Giugno. L’intervento
«Il 30 giugno ho fatto l’intervento e mi hanno messo anche le protesi – ho chiesto al dottore “quelle più grandi che puoi” (ride) – ed è andato bene. Il giorno dopo dell’intervento mi sono fatta togliere subito il catetere perché volevo alzarmi e recuperare. Bisogna sempre contrastare e tirarsi su. È stato un intervento lungo di oltre cinque ore, perché mi sono fatta togliere entrambe le ghiandole, anche se non ho il gene mutato. La ghiandola controlaterale viene solitamente tolta in presenza del gene mutato, ma non voglio avere più problemi quindi me la sono fatta togliere. Dopo due giorni, sono uscita dall’ospedale e anche con i drenaggi andavo per parchi con il mio compagno e il cane».
Luglio. “Non c’è più traccia di tumore”
«Ieri, il 27 luglio, ho ritirato l’esame istologico e non c’è più traccia di tumore. Per adesso l’ho sconfitto, per adesso ottimi risultati e gioisco di questo. Durante la chemioterapia i miei pensieri positivi li ho ritrovati anche nella medicina stessa: di tumore non si muore più come prima, il tumore è curabile, l’oncologia è già cambiata e cambierà ancora moltissimo, ne sono un esempio i farmaci biologici, che mirano specificamente il tumore. Il tumore al seno colpisce soprattutto le donne giovani e proprio per questo abbiamo la forza di affrontarlo e combatterlo».
Adesso. I cambiamenti del corpo con la menopausa indotta
«Il mio corpo è cambiato più che altro con la menopausa indotta, mi sono rivolta anche ad una dietologa che mi ha aiutata a capire come mangiare e sto molto meglio, ma la menopausa indotta causa fastidi al livello intimo, vaginale. Provoca gli effetti collaterali tipici della donna in menopausa e questo mi dà fastidio perché sono una donna giovane. Sicuramente però, anche in questo senso, si può fare tanto, perché – ripeto – per ogni problema o effetto collaterale che insorge esistono trattamenti e antidoti per alleviarli. Vorrei che le persone ne prendessero coscienza. La menopausa indotta crea atrofia vaginale ed è un problema soprattutto se legato ai rapporti sessuali, perché è fonte di dolore. Si può limitare il problema con trattamenti laser da fare una volta al mese, sono anche andata dalla fisioterapista per il pavimento pelvico, è vero comunque che per stare male e curarsi bene servono i soldi. Il Servizio Sanitario Nazionale funziona, ma si perde molto più tempo, mentre io ho corso, ho corso per tutto il tempo, non ho buttato un attimo e ora va meglio. Non sopporto di avere un problema che prima non avevo e quindi ho fatto di tutto per combatterlo».
Il tumore, la chemioterapia, l’intervento, la menopausa indotta sono una sequenza di avvenimenti che hanno messo in pausa il progetto della gravidanza e della maternità, ma rimangono lo stesso.
«Tutti i valori erano perfetti, non sappiamo perché non sia andata bene, anche i medici non lo sanno. Forse perché c’era questo tumore e il corpo ha capito che non era il momento. È anche per questo che chiamo gli embrioni i miei miracoli perché mi hanno salvato la vita: me ne sono accorta per il percorso che stavo facendo. C’è la possibilità di sospendere la terapia ormonale della menopausa indotta prima dei cinque anni previsti. Tra due anni, quindi, potrei sospendere la terapia per un paio d’anni, il tempo della gravidanza, e poi riprendere per altri tre e finire il ciclo dei cinque anni».
Ancora adesso. Come si può vivere un corpo con il tumore
«Se ti fermi a sentire il peso di quello che hai affrontato non ce la fai, sembra tutto troppo. Quando risorgi da questo pensiero, capisci che ormai è fatto. Una mia carissima amica a volte mi dice “la mente mente”, ed è vero, perché a volte i pensieri possono annientarti».
Simona d’Ettorre. Fotografia di Francesco Formica
La Simona che avevo di fronte, seduta per terra con le gambe incrociate, con i fili d’erba tra le mani e la vitalità incontenibile su ogni piega del corpo, di certo non è una persona che si è lasciata annientare dai pensieri negativi. Quando sono arrivati degli attimi di commozione erano lì a suggellare la bellezza di qualcosa che è stato e che sarà, a incorniciare una fetta di vita che le ha fatto male mentre lei non smetteva di volersi bene.
«Quando ho fatto l’intervento in ospedale non facevano entrare i familiari per la prevenzione dei contagi dal covid ed è stato meglio, per quanto mi riguarda: prima di ogni intervento ci sono tutti quei baci e quegli abbracci che ti fanno crollare. Invece ero sola con me stessa, concentrata. Me li sono fatta ovviamente i miei pianti, mi chiedevo il perché. Provavo molto fastidio. La sera della diagnosi, mi sono molto spaventata, avevo paura di morire ed è durata così per due o tre giorni. Poi mia sorella ha informato i miei genitori, io non potevo farlo perché mio padre aveva il covid e non volevo dare loro questa notizia per telefono, quindi è stata mia sorella a parlare con loro. Non potevamo vederci, eppure abbiamo attivato lo squadrone, siamo una famiglia molto unita e quando c’è un problema ci uniamo perché dall’altra parte della nostra linea non passa niente. Quando si è attivato lo squadrone, non ho avuto più paura. Mio padre è una forza della natura, non mi ha mai abbandonata, so che quando c’è lui non posso sbagliare. Come lui anche mia madre, mia sorella, le mie amiche, il mio compagno, che è una persona fantastica e molto positiva. Nessuno mi ha mai lasciata, erano tutti accanto a me».
Durante. La psico-oncologa
«Per me è importante chiamare le cose con il loro nome, proprio per esorcizzarle, non c’è alcun bisogno di nasconderle. È importante contrastare ogni effetto collaterale, viverla al meglio che si può, perché il percorso va fatto indipendentemente da come ti poni. Alcuni dicono che il tumore è un dono, non è vero. Non è un dono, sicuramente però è un motivo per approcciare in maniera diversa la vita. Ero una persona che progettava molto, avevo delle scadenze prefissate, poi è arrivato il tumore e ha smontato tutto. Dalla psico-oncologa piangevo per questo: avevo investito tanto nella ricerca di un figlio. Il 19 dicembre avrei dovuto prendere gli embrioni, invece il 14 è arrivata la diagnosi. La mia progettualità si è disintegrata. La menopausa indotta mi ha dato più fastidio della chemioterapia. Quando cercavo un figlio ho sofferto di più, mi sentivo più malata: non avevo niente che non andava eppure il figlio non arrivava. Mi sentivo più malata, perché mentalmente la stavo vivendo malissimo, al contrario del tumore. L’idea di andare oltre e di progettare non c’è più, c’è il qui e ora e mi sento meglio così, perché quando i pensieri partono, ad un certo punto devi bloccarti e chiederti “dove vai?”, la risposta è che non puoi andare da nessuna parte, sei qui. Non sto dicendo di vivere senza aspettative perché sarebbe triste, ma di vivere giorno per giorno senza rimanere attaccati ad un futuro che può essere solo immaginato. Per la psico-oncologa ero “una risorsa, una forza della natura”, e le chiedevo se potessi fare qualcosa in più per viverla bene, per viverla meglio. Mi ha detto di no, che avevo fatto tutto e che dovevo riconoscere di aver fatto qualcosa di buono, quindi oggi ti dico “sì, sono stata brava. Questa l’ho affrontata bene” e non mi faccio mai i complimenti. Vorrei dire e continuare a dire alle persone che vivono questa situazione: “DAI!”».
Gli occhi di Simona vanno visti da vicino perché insegnano come restare vivi nella vita, che è anche dolore ma mai passività.
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