La pandemia, per motivi che conosciamo fin troppo bene, ha portato alla massima limitazione degli eventi pubblici in cui le persone possono assembrarsi, termine che tra l’altro fino all’arrivo del Covid non era utilizzato con questa assiduità. Naturalmente, non facciamo i negazionisti, il virus prolifera in tutti quei contesti nei quali le persone sono libere di scontrarsi l’una contro l’altra, toccarsi, abbracciarsi e volontariamente o meno, sputarsi l’una contro l’altra. La prima che mi viene in mente sono i concerti, naturalmente, oppure le partite di calcio. Tuttavia, in Italia, stiamo assistendo da qualche anno ad un processo nazionale in cui i fenomeni pubblici di questo tipo vengono limitati sempre più e ben prima dell’arrivo della pandemia. Oltre a ciò, bisogna poi considerare anche l’utilizzo e la concezione che si ha degli spazi pubblici, un tema, questo, che non riguarda esclusivamente il nostro paese. A pensar male si fa peccato, è vero, ma a volte vale la pena farlo per avere una visione d’insieme più ampia, ma andiamo per gradi.
Spazi pubblici. In Italia organizzare un concerto è un’impresa
Naturalmente organizzare un concerto è, di per sé, un’attività svolta da imprese ed attività che organizzano questo tipo di eventi per lavoro, motivo per il quale sembra quasi naturale, se mi si concede il gioco di parole, parlare di impresa. Tuttavia sono centinaia, se non migliaia, le associazioni no profit che cercano di organizzare eventi simili, in particolar modo nei centri abitati più piccoli rispetto alle grandi città. Un’attività, questa, che fino al luglio 2018 non era di difficoltà insormontabili, dal punto di vista legislativo, che comunque impatta anche quello economico.
A stravolgere le carte, infatti, fu la tragedia di piazza San Carlo a Torino avvenuta il 3 giugno 2017. Quella sera si giocava la finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid e come in ogni altra simile occasione erano stati messi in piazza due maxi schermo per seguire la partita. Durante la serata, però, un gruppo di malviventi ha iniziato ad utilizzare lo spray urticante negli occhi dei presenti per poter rubare i loro oggetti personali e poi scappare rimanendo impuniti, ma si scatenò il caos, a causa del quale molte persone iniziarono a scappare in ogni direzione possibile, passando letteralmente sopra a quelle che erano cadute e rimaste in terra. Il conteggio finale di una serata che sarebbe dovuta essere di solo piacere è raccapricciante: 3 morti e 1672 feriti.
Il governo non poteva rimanere indifferente ad un fatto simile e quindi decise di apportare delle modifiche alle normative relative agli eventi pubblici, senza però considerare le numerose sfaccettature che caratterizzano tutto lo stivale. Ad esempio, è impensabile che le norme richieste per un concerto a Roma o a Milano siano le stesse da richiedere a quello svolto in un paesino, per motivi di afflusso di persone, ovviamente, ma anche per la conformazione del territorio ad esempio. La mancanza di una corretta visione ha portato, dunque, a rendere veramente complicato organizzare un evento pubblico se a farlo è un’associazione di volontari.
A dare il colpo di grazia ci ha pensato ovviamente la pandemia, sulla quale però è possibile fare un ragionamento più ampio, dato il tempo trascorso ormai dal suo arrivo. In alcuni degli altri paesi europei, infatti, le riaperture sono già avvenute anche per i locali al chiuso, all’ingresso dei quali sarà richiesta la certificazione del vaccino e in alcuni casi anche l’esito di un tampone, comunque necessario. Perché, infatti, ad oggi si hanno le misure per contrastare il contagio del Covid, ma soprattutto, come si diceva ormai un anno fa, dobbiamo imparare a convivere con il virus, del quale a quanto pare non ci libereremo facilmente. Le nostre istituzioni, però, con estrema lentezza si stanno occupando di diverse cose, mentre per gli eventi legati a quella che viene banalmente descritta come “vita notturna” (discoteche e concerti), non si hanno ancora notizie certe, perché seduti e con le mascherine no, non è un concerto.
Di conseguenza, nello specifico nei centri abitati minori, si è arrivati in questo modo ad una sorta di strage degli eventi pubblici, che nella maggior parte di questi casi erano anche gratuiti e quindi in grado di attirare un pubblico più ampio per i paesini che sono lontani dalla vita delle grandi metropoli.
L’architettura delle grandi città è nemica degli esseri umani?
Tessuto urbano ed architettura, almeno in teoria, dovrebbero avere un grande unico scopo che viene ancora prima della bellezza: l’utilità nei confronti di chi, in quelle città, ci vive. Eppure, in molte grandi città di tutto il mondo si sta perdendo di vista questa funzione basilare delle due realtà. Nello specifico, l’architettura sta diventando nemica di alcuni esseri umani, non di tutti, e forse neanche ci scandalizziamo più di tanto poiché ormai la discriminazione, specialmente su base economica, sta diventando uno standard della società che non desta più scalpore. Eppure, viene da pensare che gli spazi pubblici non siano utilizzati soltanto da chi uno spazio privato non ce l’ha, anzi. Un determinato tipo di design degli oggetti di pubblica utilità assume tutto un altro significato, quello del controllo.
Lo scopo, dunque, è duplice: da una parte tenere lontani i senzatetto, perché non sono uno spettacolo positivo per tutti i cittadini integrati nel tessuto sociale e mettono in mostra il deficit importante delle istituzioni pubbliche, non in grado di considerarli ed aiutarli, dall’altro tiene lontano chi vuole vivere lo spazio pubblico. La conseguenza di quest’ultimo aspetto è molto semplice: se lo spazio pubblico non è vivibile, questo sarà rimpiazzato da quello privato ed ecco che le catene multinazionali si riempiono di giovani studenti o lavoratori che tra la panchina del comune dovranno scegliere il tavolo del centro commerciale per studiare o lavorare in compagnia, sicuramente il wifi prende anche meglio.
Proprio in questo meccanismo si inseriscono tutti quegli oggetti crudeli che vediamo ogni giorno nelle città più grandi del mondo: panchine con i divisori che non permettono di stare sdraiati, oppure quelle inclinate verso il basso che rendono in realtà scomoda la seduta (impossibile per i bambini), oggetti affilati di metallo che non consentono di appoggiarsi.
Stiamo assistendo ad un processo sempre più ampio di eliminazione degli eventi e degli spazi pubblici, attraverso dinamiche apparentemente lontane, che però sembrano avere un solo obiettivo: non far raggruppare le persone. Una piazza, però, se è vuota, diviene morta, poiché sono solo le persone che la calpestano e che, letteralmente, la vivono ad infonderle un significato, un senso. A questo punto viene naturale chiedersi in quale direzione le nostre società si stanno spingendo: è forse questa la città e la società del futuro, che sostituisce il privato al pubblico, che nasconde i problemi anziché affrontarli, che considera i propri cittadini come lavoratori-consumatori e non come esseri umani desiderosi di aggregazione sociale?