Sono gli incontri a dirci chi siamo. Con l’aiuto dei nostri Altri rintracciamo parole esatte per raccontare ciò che era stato sepolto negli spazi vuoti della mente. Ricomponiamo i frammenti, diventiamo interi.
Una vita come tante è il lento disvelarsi di un uomo – dell’inquietudine che lo abita – attraverso i suoi amori. Una vita come tante è un viaggio negli interstizi del dolore, dove la confusione dell’esistere continua ad accadere.
Come un eroe assurdo, Jude St. Francis sembra condannato a trascinare il suo macigno verso la cima di un monte per poi vederlo precipitare a valle, ancora e ancora. Lotta quotidianamente contro i propri fantasmi, si distrugge provando poi a rinascere. Incide sul corpo urla disperate, mentre coloro che lo amano seguitano a chiedersi se quell’amore sarà balsamo, o in alternativa fiamma bruciante, sulle ferite aperte.
«Durante quei mesi ho pensato spesso a quello che stavo cercando di fare, e a quanto sia difficile mantenere in vita una persona che non ne ha più alcun desiderio [...] Lasciargli fare quello che vorrebbe è contrario alle leggi di natura, e alle leggi dell’amore» (p. 1074)
In Una vita come tante la sofferenza accoglie l’amore e l’amore incontra l’impotenza. Nel mondo assurdo la speranza non trova spazio, il bene non salva. Lungo le millenovantuno pagine che custodiscono il racconto di Jude – e di Willem, Malcom, JB, Harold, Julia, Ana – l’autrice chiede ai lettori di concepire l’idea di un amore che potrebbe non assolvere il suo compito, la missione che molti immaginano gli sia propria: riparare.
In quelle millenovantuno pagine mi sono scontrata varie volte con un interrogativo: esiste – se sì, dov’è? – un confine superato il quale l’amore, non accettando il reale, sfiora la presunzione e accarezza la prepotenza?
«A quel punto arrivi a pensare, come mi è successo con Jacob: a che serve, un figlio? A dare conforto ai genitori? O sono i genitori che devono dare conforto a lui? E se dare conforto a un figlio diventa impossibile, è giusto concedergli il permesso di lasciare questo mondo? Ma subito dopo ripeti a te stesso: Non posso. Sarebbe un abominio» (p. 1075)
Una vita come tante è il passato che non smette di farsi presente, il tentativo altrui di lavare via la vergogna di essere nati. Il bene profondo e la paura paralizzante riflessi negli occhi della stessa persona.
È l’amore racchiuso nelle mani che nascondono tra i rifiuti lame pungenti, nelle ferite inferte sui corpi per trasformare la disperazione in vicinanza, nelle rivelazioni prima desiderate e poi dannate. Nello sforzo richiesto dall’immanente.
Una vita come tante è accettare l’impotenza dell’amore, che rinuncia alla redenzione e costruisce il migliore dei mondi possibili.
Recensione di Hanya Yanagihara, Una vita come tante, Sellerio, Milano, 2022
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